Vuoi dimagrire? Mangia meno carne. Il consiglio viene da uno studio pubblicato sull'American journal of clinical nutrition ed è frutto di un lavoro ponderoso dei ricercatori dell'Imperial college di Londra, che hanno osservato per cinque anni le abitudini alimentari di ben 370mila persone in dieci Paesi europei.
Ebbene, si è visto che minore è il consumo di bistecche, arrosti e salumi, più grandi sono i benefici in termini di controllo del peso. Le motivazioni non sono ancora chiare e gli autori dello studio sostengono che probabilmente chi mangia molta carne, in particolare quella rossa e gli insaccati, tende a seguire una dieta poco equilibrata.
Un consiglio salutare
«Una cosa è certa: la nuova piramide alimentare mediterranea condivisa dai nutrizionisti invita a ridurre il consumo di carne a un massimo di due porzioni a settimana e di salumi a non più di una», dice Francesco Leonardi, direttore dell'unità operativa complessa di dietetica e nutrizione clinica all'ospedale Cannizzaro di Catania e segretario nazionale dell'Associazione italiana di dietetica e nutrizione clinica. «Ben venga quindi uno studio che dimostra gli effetti positivi sul peso corporeo: meno carne nella dieta significa meno grassi saturi ».
Il flop delle diete iperproteiche
Qualcosa è cambiato anche oltreoceano, dopo che per anni gli americani ci hanno bombardato di regimi dimagranti in cui i carboidrati di pasta e pane erano considerati il diavolo. «In realtà le diete iperproteiche come la Atkins ottengono il risultato di far diminuire il peso nel breve periodo, ma a distanza di anni i chili si riprendono con gli interessi», spiega Giuseppe Maria Rovera, presidente dell'Associazione specialisti in scienza dell'alimentazione. «Uno studio del New England journal of medicine ha premiato come dieta migliore quella mediterranea, che prevede un apporto di proteine nella misura del 15%. Meglio se la maggior parte di questo 15% deriva da uova, pesce, formaggi e legumi piuttosto che dalla carne»
10/12/10
Vuoi dimagrire? Mangia meno carne
01/11/10
MASSA GRASSA O MASSA MAGRA ?
Con la definizione di composizione corporea si intende la misurazione dei diversi componenti che costituiscono il corpo umano.
A parità di peso è possibile che una persona sia obesa oppure particolarmente muscolosa, tramite tecniche di valutazione non invasive è possibile definire come è composto il corpo umano. Infatti il peso non è un indice affidabile dello stato di salute di una persona o della forma fisica di una persona. Pertanto la definizione di una dieta dovrebbe tener conto della composizione corporea di una persona oltre che dal metabolismo di base.
Infatti molti pazienti invece di dimagrire, nel senso di diminuire la Massa Grassa, perdono peso per una variazione del contenuto dei liquidi corporei oppure, come nel caso di una rapida diminuzione del peso corporeo, una diminuzione della Massa Muscolare.
E allora che fare per essere sicuri di essere dimagriti in modo sano, nel senso di aver ridotto la Massa Grassa?
Esistono diverse tecniche
BIOIMPENDENZIOMETRIA (BIA 101 Akern).
E' un esame di tipo bioelettrico che determina l'analisi quantitativa e qualitativa della composizione corporea attraverso la misurazione della resistenza e della reattanza che incontra una debole corrente che attraversa il corpo umano.
Ci consente di stabilire la composizione corporea.
L’esame si esegue in posizione supina, si applicano due elettrodi alla mano e al piede dello stesso lato e questo punto l’apparecchio calcola la composizione corporea, ovvero Acqua totale corporea - Acqua Intracellulare (utile) - Acqua extracellulare (ritenzione idrica), massa grassa e massa magra.
CALORIMETRIA INDIRETTA (med Gem )
Il calorimetro indiretto MedGem, un dispositivo medico che misura esattamente il consumo di ossigeno (VO2) al fine di determinare il tasso metabolico a riposo (RMR o metabolismo di base). La misurazione è facile da ottenere e fornisce risultati precisi in pochi minuti. Questi dati sono indispensabili per consentire la personalizzazione dello sviluppo di adeguate indicazioni nutrizionali e la gestione di obiettivi di peso.
PRESSO TUTTI GLI "AMBULATORI DI NUTRIZIONE UMANA - DOTT.MOTZO" POTRETE RICEVERE GRATUITAMENTE (PREVIA PRENOTAZIONE) UNA ANALISI DELLA VOSTRA COMPOSIZIONE CORPOREA.
29/10/10
Benefici della prima colazione
Chi non consuma regolarmente la prima colazione, che apporta nutrienti importanti per la salute, corre un rischio maggiore di sviluppare sovrappeso, oltre che di assumere una dieta non completamente adeguata dal punto di vista nutrizionale. Fare tutte le mattine una prima colazione completa ed equilibrata contribuisce infatti a ridurre l’introito giornaliero di grassi e calorie e ad aumentare invece l’apporto di fibre, vitamine e sali minerali. Gli autori di questo studio hanno analizzato alcuni parametri metabolici correlati al rischio cardiovascolare in adulti di età compresa tra 26 e 36 anni dei quali erano state registrate le abitudini alimentari anche all’inizio dell’osservazione, e cioè ad un età compresa tra 9 e 15 anni. Secondo i risultati coloro che saltavano la prima colazione sia durante l’infanzia che da adulti presentavano valori maggiori di circonferenza addominale (+ 4.63 cm), di insulinemia a digiuno (+2.02 mU/L), di colesterolo totale (+0.40 mmol/L o 15 mg/dl) e di colesterolo LDL (+0.40 mmol/L o 15 mg/dl, rispetto a coloro che la consumavano quotidianamente. Queste osservazioni dimostrano che fare regolarmente la prima colazione può, nel lungo periodo, esercitare effetti positivi sui parametri metabolici correlati al rischio cardiovascolare.
04/09/10
Foglia verde protegge da diabete tipo 2
L'aumento dell'apporto quotidiano di verdure a foglia verde potrebbe ridurre in modo significativo il rischio di insorgenza del diabete di tipo 2 ed è meritevole di ulteriori approfondimenti. Il dato emerge da una revisione sistematica e da una metanalisi effettuate su studi prospettici di coorte che hanno previsto la misurazione indipendente dell'apporto di frutta, verdura e insieme di frutta e verdura con la raccolta dei dati relativi all'incidenza del diabete di tipo 2.
Gli autori, Patrice Carter della sezione di ricerca sul diabete del Dipartimento di scienze cardiovascolari all'Università di Leicester, e collaboratori, hanno incluso nel loro lavoro sei studi di cui quattro hanno anche fornito informazioni a parte sul consumo di verdure a foglia verde. Le indagini hanno mostrato che l'apporto più elevato di verdure a foglia verde si associa a una riduzione del 14% (hazard ratio 0,86) del rischio di diabete di tipo 2.
Non sono stati registrati, invece, significativi benefici in relazione al consumo di verdure, frutta e alla combinazione di frutta e verdura.
BMJ, 2010; 341: c4229
29/08/10
Troppo peso in gravidanza? A rischio obesità bebè
Mettere su troppo peso in gravidanza può minacciare la salute a lungo termine del bambino, che ha una maggiore probabilità di diventare obeso.
Lo hanno scoperto i ricercatori della Columbia University con uno studio, pubblicato da Lancet, su 500 mila mamme con due bambini.
Secondo lo studio per ogni chilo guadagnato dalla mamma durante la gestazione il piccolo cresce di 7 grammi, e secondo gli autori maggiore è il peso alla nascita maggiori sono le probabilità che il bambino diventi obeso con il passare del tempo.
Le donne che hanno avuto un aumento di peso maggiore di 24 chili hanno mostrato una probabilità doppia che il bambino fosse di più di 4 chili.
"Visto che un alto peso alla nascita predice un alto indice di massa corporea con il passare del tempo, le donne dovrebbero evitare di prendere troppo peso - scrivono gli autori - inoltre un alto peso alla nascita è legato ad altre patologie, come allergie e asma".
Obesità: integratori non la combattono
Gli integratori alimentari progettati per accelerare la perdita di peso non funzionano.
Lo ha detto un gruppo di ricercatori britannici della Peninsula Medical School e delle università di Exeter e Plymouth in una conferenza sull'obesità a Stoccolma.
Secondo gli scienziati, una grossa gamma di integratori - compresi quelli a base di fibre ed estratti vegetali - non sono migliori delle pillole 'false', cioè del placebo, nell'aiutare le persone a dimagrire.
In un altro studio un gruppo di ricercatori tedeschi è pervenuto alle stesse conclusioni, non trovando delle prove che dimostrino l'effetto dimagrante dei supplementi.
''I risultati di revisioni sistematiche - hanno detto i ricercatori britannici - non riescono a fornire prove sufficienti a dimostrare che qualsiasi integratore alimentare possa essere raccomandato per ridurre il peso corporeo''.
In commercio ci sono diversi integratori alimentari, a base di erbe o non vegetali, che promettono di far perdere i chili di troppo.
''Mentre i farmaci tradizionali per ridurre il peso corporeo - hanno spiegato gli scienziati - devono dimostrare la loro efficacia prima di ricevere l'autorizzazione, gli integratori alimentari non hanno bisogno di soddisfare questo requisito''.
''Pochi integratori quindi - hanno continuato - sono stati sottoposti a test clinici e gli operatori sanitari sono molto incerti sul loro reale valore terapeutico''.
Nel frattempo i ricercatori tedeschi dell'Università di Gottingen hanno provato a verificare l'efficacia in otto settimane di nove integratori alimentari comuni. Tra questi c'erano dei supplementi a base di soia, di fibre e altri a base di estratti vegetali.
Lo studio ha coinvolto 189 persone in sovrappesi divisi in 10 gruppi. Le persone che hanno assunto gli integratori non hanno perso più peso di quelle che hanno assunto supplementi 'finti'.
''Tutti i prodotti testati - hanno sottolineato i ricercatori - non hanno mostrato alcuna efficacia rispetto al placebo''.
20/07/10
Prostata a rischio con dieta scorretta
Nei pazienti affetti da cancro della prostata si rileva un'elevata prevalenza di obesità, un eccesso di grasso corporeo e addominale e diete carenti di nutrienti protettivi.
Il dato emerge da uno studio pilota effettuato in Portogallo da Azade Mehdad e collaboratori dell'Istituto di Medicina molecolare dell'Università di Lisbona, su 87 uomini colpiti dalla malattia con un'età media di 69 +/- 7 anni di cui 74 (84,1%) con tumore allo stadio II, cinque (5,7%) allo stadio I e nove (10,2%) allo stadio III.
Lo score di Gleason è risultato >/= 7 in 39 pazienti (45%). Per quanto riguarda lo stato nutrizionale ben 78 pazienti (89%) erano in sovrappeso od obesi, 84 (97%) con una percentuale di grasso corporeo al di sopra del limite massimo (>25%) e 43 (49%) con un girovita > 102 centimetri. L'analisi univariata non ha mostrato nessuna associazione tra i parametri.
L'analisi multivariata ha invece evidenziato un'associazione tra i più alti valori del Bmi, la percentuale di grasso corporeo e i punteggi Gleason indicativi di una malattia aggressiva, variabili che peggioravano in base all'età. L'analisi effettuata sulla frequenza di assunzione degli alimenti ha mostrato un basso consumo di acidi grassi omega-3, di verdure e di cereali integrali nonché una correlazione tra un basso apporto di yogurt e verdure con i punteggi Gleason di malattia più aggressiva.
Nutr Hosp, 2010; 25(3): 422-7
09/04/10
Omeopatia: in Gran Bretagna chiedono di bloccare i finanziamenti e in Italia l’ISS avvia una campag
Omeopatia sotto osservazione in Gran Bretagna. Un Comitato Scientifico ha concluso che l’omeopatia provoca lo stesso effetto di un placebo e che quindi non dovrebbe ricevere finanziamenti pubblici.
Nel rapporto presentato al Parlamento Britannico si richiede non solo di sospendere i finanziamenti pubblici all’omeopatia, ma anche di studiare nuove norme che regolino l’etichettatura dei farmaci omeopatici per evitare equivoci e false aspettative nelle loro capacità terapeutiche.
Anche in Italia il dibattito è aperto. L’Istituto Superiore di Sanità ha calcolato che dal 2002 si sono verificati quattrocento casi di pazienti che, a seguito dell’assunzione di prodotti della medicina alternativa, hanno avuto disturbi, anche gravi, sono stati ricoverati e tre di essi sono deceduti.
Secondo quanto riferito dall’ISS nel 70% dei casi le medicine assunte erano estratti di piante medicinali, ma nel 34% dei casi sono state assunte insieme ad altri farmaci convenzionali e questa interazione sarebbe alla base dei disturbi conseguenti.
Problemi gastrointestinali, disturbi alla cute, al fegato e al sistema nervoso: sono soprattutto questi gli effetti collaterali registrati nella gran parte dei casi che hanno spinto l’ISS ad avviare una campagna di informazione mirata a ricordare che anche i prodotti della medicina alternativa possono essere pericolosi, se assunti senza controllo medico e in dosi e modalità scorrette e che possono agire causando reazioni anche gravi, oltre che compromettere le capacità terapeutiche dei farmaci convenzionali che si stanno assumendo in concomitanza.
La necessità di informare e di ridurre al minimo dubbi ed equivoci nasce anche dal fatto che il mercato della medicina alternativa registra un trend in netta crescita.
Già una indagine dell’ISTAT, condotta nel 2005, rese noto che il 13,6% della popolazione intervistata dichiarava di aver usato metodi di medicina alternativa nei tre anni precedenti (il 7% aveva fatto ricorso all’omeopatia, il 6,4% si era sottoposto a sedute di osteopatia e chiropratica, il 3,7% aveva usato prodotti fitoterapici e l’1,8% l’agopuntura).
Il dato che può preoccupare, però, è quello relativo all’assunzione di farmaci omeopatici e convenzionali insieme: è un’abitudine per il 73,5% dei cittadini che usano la medicina alternativa. Più recente la fotografia scattata da Omeoimprese: nel 2009 il mercato dell’omeopatia ha fatto registrare un picco di +6% e nell’ultimo decennio il numero di pazienti che si affidano all’omeopatia è passato dal 10,6% al 18,5%.
L’associazione che raggruppa 18 aziende produttrici di medicinali omeopatici ha ricordato che dal 1997 in Italia è attivo un sistema di farmacovigilanza sui medicinali omeopatici e che in 13 anni non sono stati registrati effetti collaterali gravi legati al loro consumo: “occorre saper distinguere con molta attenzione i prodotti di origine naturale e i medicinali omeopatici, che per il loro metodo specifico di produzione contengono il principio attivo in quantità non tossiche e propedeutiche alla risoluzione della malattia", ha chiarito Fausto Panni, presidente di Omeoimprese.
02/04/10
Incoraggiate i bambini a mangiare verdure diverse
Incoraggiate i bambini a mangiare verdure diverse
Il consumo di verdure è una componente importante di una dieta sana; in qualità di uno dei gruppi alimentari principali, le verdure forniscono fibra, vitamine, minerali e antiossidanti. Comunque, motivare i bambini ad aumentare il proprio apporto di questo gruppo alimentare rappresenta spesso una sfida. Proponiamo di seguito alcuni suggerimenti per i genitori.
Molti genitori sapranno che i loro figli possono diventare noiosi e difficili nel mangiare, molti non amano le verdure e fanno diventare i pasti delle lotte. Dato che le preferenze alimentari dei bambini possono determinare il loro futuro comportamento alimentare, è importante riconoscere che queste preferenze alimentari possono essere formate.1
Come vengono formate le preferenze alimentari nei bambini
I bambini hanno una predisposizione naturale per il dolce, e non amano gli alimenti aspri o amari.1-3 In particolare, le preferenze del gusto nei neonati sembrano essere influenzate anche da ciò che la madre mangia durante la gravidanza e la lattazione. In uno studio, i neonati di madri che avevano consumato succo di carota regolarmente durante la loro gravidanza o lattazione mostravano espressioni facciali meno negative quando venivano alimentati con cereali al sapore di carota rispetto a cereali normali.4 Inoltre, quei neonati che venivano esposti alle carote nel periodo prenatale mostravano alle loro madri di gradire cereali al sapore di carota rispetto a cereali normali. I neonati le cui madri hanno bevuto acqua durante la gravidanza e la lattazione non mostravano alcuna differenza. Perciò, se una donna gravida consuma una dieta ricca di verdure, suo figlio potrebbe apprezzare più gusti differenti rispetto a un bambino esposto solo a un numero ridotto di alimenti diversi durante la gravidanza e la lattazione.
Le preferenze alimentari si sviluppano ulteriormente attraverso l’infanzia e i genitori hanno un ruolo vitale nel promuovere un comportamento alimentare sano. L’ambiente in cui il bambino si sviluppa e si alimenta è molto influenzato dai genitori. Se si stabilisce un ambiente piacevole, e i nuovi alimenti vengono introdotti non in modo coercitivo, un bambino svilupperà più probabilmente una preferenza per questi. L’incoraggiamento dei genitori e le regole sul comportamento alimentare sono positivamente correlate al consumo delle verdure.5
La neofobia, l'essere schizzinosi ed esigenti
La neofobia è un termine utilizzato per descrivere un’avversione del bambino verso nuovi alimenti.1-3 I genitori spesso lottano per far sì che i loro bambini provino nuovi alimenti e rinunciano facilmente quando il bambino si rifuta. I bambini possono anche reagire negativamente in modo occasionale a cibi familiari, definito come essere schizzinosi. L'essere esigenti è una combinazione della neofobia e dell'essere schizzinosi, e questi problemi tendono ad aumentare verso i 2-6 anni, diminuendo ad un livello più basso in età adulta.6
Cosa possono fare i genitori per incoraggiare un’alimentazione positiva?
I genitori possono avere un ruolo importante nel promuovere e incoraggiare I bambini a mangiare le verdure attraverso l’esposizione ripetuta, l’esempio e controllando l’ambiente. Più un bambino è esposto a nuovi alimenti più probabilmente lui/lei cercherà e diverrà familiare con essi.1 Un bambino può aver bisogno di 10–15 assaggi di un alimento nuovo per sviluppare una preferenza per esso, pertanto rinunciare dopo pochi tentativi non permetterà l’introduzione di nuovi alimenti.2 I genitori non dovrebbero forzare il bambino a mangiare grandi quantità dei nuovi alimenti, ma invece invitarli a provare poche quantità di uno o due nuovi alimenti - nel tempo continuare a fare ciò porterà ad una familiarità con le nuove verdure e a un maggior desiderio di mangiarle.
L’esempio è una parte importante per motivare i bambini a mangiare le verdure.2,3,7 Se i bambini possono vedere che un adulto si diverte a provare nuovi alimenti, li proveranno più facilmente loro stessi. In più, se le verdure sono subito disponibili per il bambino, questo ne aumenterà il loro consumo.6
La presentazione dell’alimento in modo gradevole usando più colori e forme può favorire nei bambini la ricerca di nuovi alimenti. 2,3 Per esempio, un genitore può creare facce o disegni con il cibo sul piatto e tagliare le verdure in forme diverse. Offrire il cibo sia crudo che cotto potrebbe essere un’ulteriore opzione, posto che vi sia attenzione all’igiene alimentare. Inoltre, coinvolgendo i bambini nella preparazione degli alimenti e, se possibile, nella coltivazione delle verdure in giardino o nei vasi si può aumentare il loro desiderio di provare verdure nuove.3,7
In conclusione
Le preferenze alimentari dei bambini si formano presto durante la vita e i genitori possono influenzarle positivamente creando un ambiente dove esista una struttura di comportamento alimentare. Esponendo i bambini a piccole quantità di un nuovo alimento in modo ripetuto, dando un esempio di un comportamento alimentare sano, coinvolgendo i bambini nella coltivazione e nella preparazione delle verdure come nella presentazione dei piatti in modo gradevole, è possibile migliorare il comportamento alimentare di un bambino.
01/04/10
Attività fisica e controllo ponderale
Lee IM, Djoussé L, Sesso HD, Wang L, Buring JE. JAMA. 2010 Mar 24;303(12):1173-9. Il calo ponderale conseguente alla restrizione calorica associata all’attività fisica regolare può essere più o meno rilevante in relazione al regime dietetico adottato. Non è invece chiara la quantità di esercizio fisico necessaria per controllare il peso corporeo, in assenza di restrizioni caloriche, nelle persone obese. 34000 donne americane, reclutate per lo “Women’s Health Study”, seguite per 13 anni, sono state suddivise in base al dispendio energetico, espresso in equivalenti metabolici (MET), e quindi al livello di attività fisica: meno di 7.5 MET a settimana (< 150 min di movimento a settimana), da 7.5 a 21 MET e 21 o più MET (> 420 min di movimento a settimana). Al termine del periodo di osservazione è stato registrato un aumento medio del peso di circa 2.6 Kg, soprattutto nei soggetti appartenenti ai due gruppi meno attivi. Una relazione inversa tra l’attività fisica e il’incremento ponderale è stata osservata solo per le donne normopeso. I 20-30 minuti al giorno di attività fisica raccomandati dalle linee guida sono quindi sufficienti a ridurre il rischio cardiovascolare, ma non sono sufficienti per il controllo ponderale in assenza di restrizione calorica. Nei soggetti normopeso 60 minuti al giorno di movimento sono efficaci per mantenere il peso forma, mentre nei soggetti obesi il controllo ponderale richiede necessariamente anche una restrizione dell’apporto calorico con la dieta.
Proteine e diabete
Sluijs I, Beulens JW, van der A DL, Spijkerman AM, Grobbee DE, van der Schouw YT.
Diabetes Care. 2010 Jan;33(1):43-8.
Mentre il ruolo di grassi e carboidrati della dieta nella determinazione del rischio di diabete è stato ampiamente studiato, per quanto riguarda le proteine, e informazioni disponibili sono limitate e a volte contraddittorie. In questo studio prospettico, condotto nella coorte olandese dello studio EPIC (circa 38000 partecipanti), è stato osservato che i soggetti nel quartile con il più alto di consumo di proteine totali o di origine animale avevano un rischio più che doppio di sviluppare diabete durante i 10 anni di follow up, rispetto a quelli nel quartile con il consumo più basso. Questa correlazione non sussisteva per i livelli di assunzione delle sole proteine vegetali. Confrontando tra loro diete isocaloriche, la sostituzione del 5% delle calorie rappresentate da grassi carboidrati con la stessa quantità di calorie ottenute da proteine totali o animali, aumentava di circa il 30% il rischio di sviluppare diabete, soprattutto nei soggetti magri.
Secondo queste osservazioni, le raccomandazioni dietetiche per la prevenzione del diabete devono quindi tener conto della composizione della dieta non solo in termini di grassi e carboidrati, ma anche di proteine, soprattutto di origine animale.
31/03/10
La salute del cuore passa spesso attraverso le scelte alimentari
Gli acidi grassi fanno bene alla salute e aiutano a prevenire le malattie cardiovascolari.
Una nuova conferma arriva da uno studio condotto presso la Harvard Medical School che ha analizzato i dati relativi a circa 13.000 persone e ha scoperto che il segreto per un cuore sano è abbattere i grassi saturi, da un lato, e incrementare i grassi polinsaturi dall’altro.
I nutrizionisti raccomandano di non assumere più del 13% delle calorie quotidiane da grassi saturi. Questo perché queste sostanze possono favorire un incremento dei livelli di colesterolo cattivo e favorire lo sviluppo dell’aterosclerosi.
Al contrario i grassi polinsaturi, che si trovano soprattutto nel pesce e nell’olio extravergine di oliva, favoriscono un aumento del colesterolo buono e quindi non dovrebbero mai mancare dalla dieta quotidiana.
I ricercatori statunitensi hanno dimostrato che per ogni incremento del 5% del consumo di grassi polinsaturi si registra un calo del 10% delle malattie cardiache. Dariush Mozaffarian, autore dello studio, ha spiegato che il segreto sta, quindi, nel ridurre la quantità di grassi saturi e nell’aumentare quella di grassi polinsaturi.
20/03/10
Mai farsi mancare il calcio nella dieta: aumenta le chance di una lunga vita
Un po’ di calcio nella tua dieta e vivrai più a lungo. E’ il consiglio del team di ricercatori del Karolinska Institutet di Stoccolma guidati da Joanna Kaluza: monitorando per dieci anni lo stile di vita e lo stato di salute di circa 23.000 uomini tra i 45 e i 79 anni, questi studiosi hanno, infatti, concluso che le persone che consumavano una maggiore quantità di calcio avevano il 25% di rischio in meno di morire per qualsiasi causa nel decennio successivo, rispetto ai coetanei che assumevano minori quantità di calcio.
Lo studio, pubblicato sull’American Journal of Epidemiology, ha preso in considerazione solo il calcio assunto attraverso gli alimenti e non grazie agli integratori e ha confermato che un maggiore consumo di calcio è collegato a una riduzione del 23% del rischio di malattie cardiache, mentre non avrebbe alcuna significativa influenza sulla riduzione del rischio di cancro.
La Kaluza ha spiegato che il calcio riduce la mortalità agendo in molti modi: ad esempio abbassando la pressione sanguigna, i livelli di colesterolo o quelli dello zucchero nel sangue. I ricercatori hanno esaminato anche gli effetti del magnesio, ma non hanno riscontrato alcun collegamento tra l’assunzione di alte quantità di magnesio e una riduzione della mortalità.
04/03/10
Obesità: già a tre anni segni di problemi cardiaci
Già a tre anni i bambini obesi hanno elevati valori di una proteina associata a problemi cardiaci.
Lo afferma una ricerca statunitense su 16 mila soggetti pubblicata dalla rivista Pediatrics. I ricercatori dell'Università del Nord Carolina hanno esaminato il sangue dei pazienti, di età compresa tra uno e 17 anni, valutando i livelli di una proteina, chiamata C-reattiva, che è considerata il segno di un'infiammazione in corso, e che negli adulti è legata fortemente alla probabilità di sviluppare problemi cardiaci.
Nel gruppo di bimbi più piccoli, fino a tre anni, alti livelli di questa proteina sono stati trovati nel 40% degli obesi e nel 17% dei sani, mentre nel gruppo dei più vecchi, da 15 a 17, la percentuale sale all'83% negli obesi contro il 18% dei sani.
"Abbiamo trovato una correlazione tra il peso e il marker dell'infiammazione molto prima del previsto - ha spiegato Asheley Cockrell Skinner, che ha coordinato lo studio, alla BBC - non sappiamo se è l'obesità a causare l'infiammazione o il contrario, ma pensiamo che quella vera sia a prima ipotesi, e che l'infiammazione poi produca i danni cardiaci a lungo termine".
27/02/10
Ictus: vitamina B efficace in recupero neurologico
La vitamina B può aiutare il recupero delle funzioni neurologiche nei pazienti colpiti da ictus attraverso la crescita di nuovi vasi sanguigni. Lo ha scoperto un gruppo di medici dell'Henry Ford Hospital di Detroit in uno studio presentato in occasione dell'International Stroke Conference di San Antonio.
I medici americani hanno trovato che la vitamina B3 o 'niacina' (una comune vitamina solubile in acqua) ripristina la funzione neurologica del cervello dopo un ictus. Lo studio è stato condotto su topolini, ma gli scienziati credono che vi saranno grosse implicazioni nel trattamento sugli esseri umani.
"Se si dimostrerà che può funzionare bene anche nei trial sugli esseri umani, potremmo avere benefici a basso costo, oltre che un trattamento facilmente tollerabile per una delle condizioni neurologicamente più devastanti", ha detto Michael Chopp, direttore scientifico dell'Henry Ford Neuroscience Institute, che ha coordinato lo studio.
"Essenzialmente la niacina - ha spiegato - 'ricollega' il cervello e ha un potenziale molto interessante per gli esseri umani". Studi precedenti sulle vitamine B hanno indicato che queste possono aiutare nella prevenzione di infarti e ictus.
Ora questo nuovo studio ha scoperto che la niacina è in grado di far crescere nuovi vasi sanguigni nei topolini colpiti da ictus ischemico.
23/02/10
Livelli di vitamina D e carcinoma colorettale
E’ stato ipotizzato che la vitamina D, molto importante per l’omeostasi del calcio e per il metabolismo delle ossa, svolga un ruolo protettivo nei confronti dei tumori, modulando la proliferazione cellulare e l’apoptosi e inibendo l’angiogenesi. Tali effetti possono avere particolare rilevanza a livello delle cellule intestinali capaci di produrre la forma attiva di questa vitamina.
Negli oltre 500.000 partecipanti allo studio EPIC, reclutati in 10 Paesi europei, sono stati correlati i livelli circolanti di vitamina D all’inizio dello studio, con l’incidenza di tumori del colon retto.
Rispetto ad un valore plasmatico medio di vitamina D di 50-75 nmoli/L, livelli più bassi e più alti sono risultati associati rispettivamente ad un maggiore (RR 1,32) o minore (RR 0,88) rischio di carcinoma colorettale. Tra i soggetti con concentrazioni di vitamina D nel quintile più elevato è stata determinata una riduzione del 40% della probabilità di sviluppare un tumore, soprattutto al colon, rispetto ai soggetti con valori nel quintile più basso.
Tuttavia, per quanto riguarda l’assunzione con la dieta, la riduzione del rischio è risultata associata con l’apporto di calcio e non di vitamina D.
Questi dati indicano quindi che in presenza di bassi valori plasmatici di vitamina D aumenta il rischio di carcinoma colorettale e sottolineano la necessità di ulteriori studi mirati a verificare che l'incremento dei livelli circolanti di vitamina D possa ridurre l’incidenza di tumori del colon-retto.
14/02/10
La rete potrebbe rivelarsi efficace alleata per promuovere comportamenti alimentari pi salutari
Offrire accesso a programmi su internet che stimolino al consumo di frutta e verdure sembrerebbe aumentare la risposta positiva da parte degli utenti. Lo hanno verificato negli Stati Uniti, dove l’incidenza di obesità e patologie ad essa collegate sono direttamente provocate da un regime alimentare squilibrato e povero di frutta e verdura.
Christine Cole Johnson dell'Henry Ford's Department of Biostatistics and Research Epidemiology ha condotto uno studio che ha visto coinvolte sedici persone tra i 21 e i 65 anni che sono state divise in tre gruppi: il primo è stato assegnato a un programma online che forniva semplici informazioni sul consumo di frutta e verdura, il secondo ha avuto accesso a un programma individuale realizzato sulla base del proprio stile di vita e il terzo ha avuto accesso a un programma che aveva le due caratteristiche precedenti ma offriva anche la possibilità di colloqui motivazionali e consigli personalizzati per un anno.
Al termine dello studio i ricercatori hanno osservato che si registrava un miglioramento nella qualità della dieta di tutti i partecipanti, ma quelli del terzo gruppo erano riusciti a inserire l’abitudine al consumo regolare e quotidiano di cinque porzioni di frutta e verdura nel loro stile di vita.
“Le persone sono ben consapevoli che mangiare frutta e verdura è estremamente importante nella prevenzione di numerose malattie, ma spesso non vanno oltre le due porzioni al giorno: il nostro studio ha dimostrato che offrendo consigli su come inserire questi alimenti nella dieta e dando accesso a programmi di informazione online si possono ottenere interessanti miglioramenti”, ha spiegato la Cole Johnson
Fonte Pagine Mediche
09/02/10
Allergia al latte nei bambini: la comunità scientifica internazionale stila un documento unico
Due bambini su cento sono colpiti dall’allergia al latte. Fino ad oggi i genitori hanno convissuto con questa condizione, provando a tenere lontano i bambini dal latte, dai derivati e da alimenti contenenti l’allergene.
Ma guarire da questa allergia è possibile e lo hanno illustrato gli specialisti che, nei giorni scorsi, si sono riuniti a Milano in occasione del quarto meeting dell’allergologia pediatrica.
Gli allergologi presenti nel capoluogo meneghino hanno presentato le linee guida ufficiali DRACMA (Diagnosis and Rationale for Action Against Cow’s Milk Allergy) che rappresentano un punto di riferimento internazionale per il trattamento delle allergie pediatriche alle proteine del latte.
Il documento è frutto del lavoro di numerosi esperti di caratura internazionale che sono stati coordinati da Alessandro Fiocchi, primario del Reparto di pediatria dell'ospedale Macedonio Melloni di Milano e presidente della Commissione speciale sulle Allergie alimentari della World Allergy Organization.
Numerosi i punti toccati dalle nuove linee guida. Innanzitutto è importante garantire la certezza della diagnosi: spesso il bambino ha un’intolleranza al latte e non un‘allergia (che interessa circa il 2% della popolazione, soprattutto quella al di sotto dei tre anni), quindi per ottenere una diagnosi certa l’unico esame consigliato è il test da carico.
Una volta ottenuta una tempestiva e sicura diagnosi si può agire per affrontare l’allergia: si procede con una dieta di eliminazione, che prevede l’esclusione dalla dieta abituale del bambino di ogni forma di proteina del latte vaccino, e dopo due o tre anni si passa a un graduale reinserimento per piccole dosi fino a rendere l’organismo tollerante.
Nel frattempo il latte viene sostituito da altri alimenti: le linee guida Dracma sconsigliano l’utilizzo di latte di soia, che può provocare ulteriori allergie, e consigliano gli idrolisati delle pr
07/02/10
Legumi e colesterolemia
Evidenze osservazionali epidemiologiche confermano l’associazione inversa tra il consumo regolare di frutta e verdura e il rischio cardiovascolare. Si ipotizza infatti che il mancato consumo di questi alimenti sia responsabile di circa il 14% dei casi di infarto acuto del miocardio. In particolare numerosi studi dimostrano che elevati livelli di assunzione di legumi, che rappresentano una valida fonte di fibre insolubili e proteine vegetali, sono in grado di ridurre la colesterolemia e il rischio cardiovascolare.
Tuttavia la maggior parte dei dati pubblicati riguarda il consumo specifico della soia; è invece meno chiaro l’effetto di una dieta ricca di altri legumi, quali i fagioli, i piselli o le lenticchie, più comunemente presenti nella dieta occidentale.
In questa metanalisi sono stati valutati i dati ottenuti da 10 studi clinici randomizzati che hanno esaminato la relazione tra il consumo di legumi e il profilo lipidico, su un totale di circa 270 pazienti. I risultati dimostrano che il consumo di piselli, lenticchie, fagioli o fave, per almeno 3 settimane, comporta una riduzione media di 11,8 mg/dL per il colesterolo totale e di 8 mg/dl per il colesterolo LDL, confermando che l’incremento dei livelli di consumo di legumi, e non solo di soia, può essere efficace nel controllo dei fattori di rischio con obiettivi di prevenzione cardiovascolare.
Bazzano LA, Thompson AM, Tees MT, Nguyen CH, Winham DM.
Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2009 Nov 23.
05/02/10
Apporto di vitamina D e calcio e prevenzione delle fratture
Le fratture causate dalla fragilità ossea tipica dell’anziano costituiscono un importante problema sociale.
La carenza di vitamina D, che è piuttosto frequente nell’età avanzata, si ripercuote sull’integrità delle ossa: la somministrazione di questa vitamina è indicata quale strategia per la prevenzione delle fratture nell’anziano. Tuttavia, i risultati di diversi studi suggeriscono che la supplementazione con la sola vitamina D non sia sufficiente a produrre effetti protettivi rilevanti, e che sia quindi necessario associarla con il calcio.
Questa metanalisi ha valutato sette studi controllati per un totale di più di 68000 pazienti, di età compresa tra 47 e 107 anni, con lo scopo di stabilire l’efficacia del trattamento con vitamina D o con vitamina D più calcio, nella prevenzione delle fratture, tenendo in considerazione le caratteristiche dei pazienti. L'analisi dei dati dimostra che la somministrazione giornaliera di vitamina D alla dose di 10 µg al giorno, se associata al calcio, è in grado di ridurre del 25% diversi tipi di fratture, incluse quella dell’anca. Al contrario, la sola vitamina D, alla dose di 10 o 20 µg al giorno, non ha comportato alcun effetto protettivo. I risultati erano simili negli uomini e nelle donne ed indipendenti dall’età o da precedenti fratture.
DIPART (Vitamin D Individual Patient Analysis of Randomized Trials) Group.
BMJ. 2010 Jan 12;340:b5463. doi: 10.1136/bmj.b5463.
04/02/10
Il parto cesareo non influisce sull'allattamento
Ricorrere al parto cesareo non ha conseguenze su quanto a lungo una mamma allatta al seno, secondo una ricerca britannica condotta su 2.000 donne.
Ciò che influenza la scelta di una madre di allattare più o meno a lungo è soprattutto l'etnia a cui appartiene e il numero di figli che ha avuto in precedenza, concludono i ricercatori sulla rivista BMC Pediatrics.
Il Ministero della Sanità britannico da anni cerca di convincere le mamme che il neonato va nutrito esclusivamente con il latte materno per i primi sei mesi di vita, se possibile. La maggior parte delle donne inglesi, invece, abbandona l'allattamento al seno molto prima.
In Europa, si tratta del gruppo di donne con uno dei tassi più bassi di allattamento al seno. Diversi studi si sono chiesti perchè, mentre il governo ha cercato di convincere le signore inglesi a non rinunciare all'allattamento con diverse misure, tra cui il divieto di pubblicizzare il latte artificiale e programmi di informazione presso le strutture sanitarie.
Il nuovo studio, condotto dalla University of Manchester e dall'East Lancashire Primary Care Trust, ha seguito più di 2.000 mamme che hanno ricevuto corsi di formazione sull'allattamento al seno. In media queste donne hanno allattato, almeno in parte, per 21 settimane e metà di loro per più di 27 settimane, quindi molto più a lungo rispetto alla media nazionale britannica.
Ma sono state osservate differenze nei sottogruppi. Le donne bianche tendevano a interrompere diverse settimane prima delle donne non-bianche e le donne nere e indiane erano quelle che allattavano per più tempo. Non faceva differenza, invece, lo status economico della donna, nè il fatto che fosse sposata o single.
Ancora, avere avuto un parto cesareo o comunque adiuvato da strumenti chirurgici non influiva sulla durata dell'allattamento, contrariamente a quanto hanno suggerito precedenti ipotesi. Infine, i bambini che sono stati avvicinati al seno della mamma entro un'ora dalla nascita (come raccomanda l'Organizzazione Mondiale della Sanità) non sono stati allattati più a lungo di quelli che hanno cominciato a nutrirsi dal seno meterno entro le prime 48 ore.
Influiva invece sulla tendenza della madre ad allattare più o meno a lungo un altro fattore: aver avuto precedenti parti. Le donne al terzo o quarto figlio allattavano più a lungo di quelle al primo figlio, forse perchè incoraggiate dalla passata esperienza.
24/01/10
G.B.: nove persone su dieci pensano avere intolleranza
Nove britannici su dieci sono convinti di soffrire di allergia o intolleranza alimentare anche se invece sono perfettamente sani.
Uno studio della Portsmouth University ha infatti dimostrato che, sebbene il 20% degli adulti (circa 10 milioni di persone) pensano di essere intolleranti a qualche cibo, meno del 2% ha in realtà questo problema.
Il report 'The Wheat Hypersensitivity' è stato commissionato dal britannico Flour Advisory Bureau ed è stato riportato dal quotidiano Daily Mail.
Per arrivare a queste conclusioni i ricercatori hanno analizzato diversi studi sulla prevalenza delle allergie alimentari, causate da una reazione eccessiva del sistema immunitario, e delle intolleranze, simili alle allergie ma molto più lievi.
Ebbene, dai risultati è emerso che nel Regno Unito ci sono milioni di persone che limitano inutilmente la propria dieta, rinunciando a cibi preferiti e a sostanze nutritive importanti, nella falsa convizione di essere allergici. In genere, si rinuncia ad alimenti a base di latticini, ai farinacei e alle uova. Colpa anche dei test diagnostici diffusi sul web, moltissime persone pensano di soffrire di qualcosa che in realtà non hanno.
''La nostra preoccupazione - ha spiegato Carina Venter, dietologa specializzata in allergie - è che le persone facciano diagnosi di allergie in realtà inaffidabili e potrebbero mascherare malattie diverse che rimangono non diagnosticate e non trattate''. Non solo. In questo modo, si rischia di rinunciare a sostanze nutritive davvero importanti. Rinunciare ai farinacei, anche se non si è intolleranti, potrebbe portare ad esempio a una carenza di vitamine del gruppo B.
Evitare di mangiare prodotti lattiero-caseari, invece, può provocare un abbassamento dei livelli di calcio, fondamentali per mantenere le ossa forti.
''Quando ci si sente male - ha detto Venter - è quasi una reazione naturale cercare di collegare tutto a quello che si è mangiato. Ma chi crede di avere sintomi legati a un alimento ha bisogno di chiedere aiuto al medico di famiglia che può indirizzarlo a un centro specializzato in allergie oppure a un dietologo''.
''I bambini - ha continuato - sono più soggetti a problemi nutrizionali quando alcuni cibi sono esclusi dalla loro dieta, quindi è fondamentale che ricevano una diagnosi corretta''.
La dietologa ha infatti denunciato il fatto che molte neo-mamme troppo spesso diagnosticano da sole ai propri figli qualche intolleranza alimentare. Lo studio condotto dai ricercatori britannici ha coinvolto quasi mille bambini e ha rilevato che più della metà ha escluso dalla propria dieta un alimento nel primo anno di vita.
Tuttavia, i test effettuati dagli scienziati hanno mostrato che solo un bambino su 25 in realtà soffriva di allergia o intolleranza alimentare. ''Le mamme tendono a collegare ogni rash, mal di pancia, diarrea o pianto a un allergia o intolleranza alimentare'', ha detto Venter. Eppure, spesso il cibo non ha nessuna colpa.
23/01/10
Farmaci per dimagrire: stop alla sibutramina
L'Agenzia italiana del farmaco ha vietato la vendita e l'utilizzo di tutti i medicinali a base di sibutramina (nomi commerciali: Ectiva, Reductil), compresi quelli preparati dal farmacista. Per perdere peso Questi farmaci, usati per favorire la perdita di peso nelle persone obese e in soprappeso che hanno altri fattori di rischio cardiovascolare come il diabete di tipo 2 o il colesterolo alto, sono ora ritenuti dall'Aifa troppo pericolosi. In particolare, il comitato nazionale che valuta la sicurezza dei farmaci (Comitato per i medicinali per uso umano Chmp) in accordo con le autorità europee (Autorità europea dei farmaci Ema) ha riscontrato un rapporto rischio-beneficio sfavorevole per questa molecola. Contattare il medico Le persone attualmente in cura con medicinali contenenti sibutramina sono invitati a contattare il proprio medico per valutare la possibilità di una terapia alternativa. Chi intende interrompere il trattamento immediatamente, può farlo tranquillamente, anche prima di avvisare il medico.
20/01/10
La sedentarietà Chiamatela inattività muscolare
Stare troppo tempo seduti davanti alla TV o sul divano non solo favorisce i chili di troppo ma fa proprio male alla salute.
L’allarme viene dall’ultimo numero del British Journal of Sports Medicine dove è stato pubblicato uno studio condotto presso il Karolinska Institute e la Swedish School of Sport and Health Sciences di Stoccolma.
Secondo gli studiosi svedesi il termine sedentarietà non rende l’idea di quanto questa abitudine possa essere dannosa per la salute: “dovremmo definirla piuttosto un’inattività muscolare”, dichiarano.
E ricordano come uno studio australiano abbia dimostrato che per ogni ora extra che trascorriamo seduti davanti alla tv le probabilità di sviluppare la sindrome metabolica, un disturbo che prelude spesso a patologie cardiovascolari e diabete, salgono del 26%, a prescindere da quanto esercizio facciamo abitualmente.
Non solo, sono numerose le ricerche che hanno dimostrato che l’inattività prolungata è tra le concause di diabete, malattie cardiovascolari, cancro e obesità, a prescindere dal fatto che si svolga o meno un’attività sportiva.
Secondo i ricercatori svedesi l’inattività muscolare andrebbe inserita ufficialmente nell’elenco di fattori di rischio di patologie come il diabete e le malattie cardiache perché la risposta molecolare e fisiologica da parte dell’organismo all’inattività non può essere ridotta semplicemente facendo esercizio fisico.
Gli studiosi sottolineano che i meccanismi che spiegano come l’inattività possa causare malattie di tipo diverso sono tutti da approfondire, è possibile che a giocare un ruolo-chiave sia un enzima chiamato lipoprotein-lipase che contribuisce a tenere sotto controllo la quantità di grassi nel sangue, ma la strada per far luce sul legame inattività-malattie è ancora lunga.
Intanto, suggeriscono gli studiosi, si dovrebbero incoraggiare cambiamenti nello stile di vita quotidiano per mantenere un livello di attività intermittente: salire e scendere le scale, andare a lavoro a piedi, fare una pausa di cinque minuti se si svolge un lavoro sedentario.
fonte pagine mediche
13/01/10
Diete: non esistono le 'miracolose' ma mangiare meno
"Le diete miracolose non esistono. L'unico modo per dimagrire è mangiare di meno".
Lo affermano gli esperti della British Dietetic Association (BDA). Dopo gli stravizi di Natale e Capodanno, molte persone si ritrovano con qualche chilo in più e si lasciano attrarre da regimi dietetici che promettono di bruciare i grassi e far perdere peso rapidamente.
La British Dietetic Association mette in guardia i consumatori: attenzione alle diete di moda ma senza alcun fondamento scientifico e spesso poco salutari, che promettono risultati miracolosi.
L'unico modo per perdere peso è ridurre le calorie e svolgere attività fisica.
"Purtroppo non c'è altro modo per dimagrire e mantenere il peso raggiunto: mangiare in modo sano, muoversi e in generale cambiare le proprie abitudini", afferma Rachel Cooke, dietologa del St Martins' Hospital di Bath e portavoce della BDA.
Proprio perchè in questo periodo tornano alla ribalta una serie di diete più o meno "alla moda", la BDA ha pensato di pubblicare una lista di "diete da evitare nel nuovo anno", tra cui quelle del gruppo sanguigno, del minestrone di cavolo, della banana, dello sciroppo di acero o del guerriero.
Si tratta di regimi spesso basati su "pseudo scienza", dice la BDA, che possono anche causare gravi deficit nutrizionali, se seguiti a lungo.
"Tanto per cominciare, nessun cibo brucia i grassi, solo l'attività fisica può riuscirci", nota la BDA. Bando anche ai severi programmi disintossicanti: la BDA assicura che il corpo umano è in grado di disintossicarsi da solo.
"Il fegato lavora ogni giorno per liberare l'organismo dalle tossine, non è necessario eliminare dei cibi o vivere solo di frutta, verdura e acqua", afferma l'associazione britannica.
"Dopo gli eccessi di Natale, basta tornare a un regime sano, riducendo le calorie e mangiando più frutta e verdura. Anche così si perde peso", assicura la BDA.
In particolare, l'associazione dei professionisti britannici della nutrizione attacca due diete molto famose.
La prima è la Atkins, "che contraddice completamente tutti i messaggi sul mangiar sano che cerchiamo di dare ai nostri pazienti"; la seconda è la dieta a zona, anche questa non in linea con le raccomandazioni degli esperti.
La versione più rigida della Atkins privilegia grassi e proteine, portando a un eccessivo consumo di grassi saturi, ed elimina pane, patate, pasta, riso e cereali, ammettendo solo piccole porzioni di frutta e verdura, mentre questi alimenti dovrebbero costituire la gran parte dell'apporto calorico della giornata.
Ma la BDA è ferma nelle sue conclusioni: non esiste un regime miracoloso. Mangiate di meno e dimagrirete.
08/01/10
Riduzione del peso corporeo e benefici cardiovascolari
de las Fuentes L, Waggoner AD, Mohammed BS, Stein RI, Miller BV, Foster GD, Wyatt HR, Klein S, Davila-Roman VG.
J Am Coll Cardiol. 2009; 54:2376 - 2381
L’obesità rappresenta un importante fattore di rischio cardiovascolare, associato ad alterazioni strutturali e funzionali cardiache e vascolari. In questo studio di intervento nutrizionale è stato valutato, in un periodo di due anni, l’effetto del calo ponderale, e del parziale successivo recupero di peso, causato da una dieta ipocalorica povera in carboidrati o in grassi. Nei 47 soggetti obesi che hanno completato lo studio, la perdita di peso è risultata massima dopo 6 mesi (-9 %), ma si è ridotta (- 4%) dopo due anni. Dalla valutazione della massa ventricolare sinistra, della funzione sistolica e diastolica e dell’ispessimento medio intimale carotideo è emerso che il miglioramento dei parametri sia della struttura che della funzionalità cardiovascolare è direttamente correlato alla perdita di peso: massimo dopo 6 mesi e ridotto, ma ancora significativo, dopo due anni.
I benefici della perdita di peso sono risultati uguali per le due diete adottate. Questa osservazione suggerisce che gli effetti positivi del calo ponderale sul sistema cardiovascolare siano indipendenti dalla composizione in macronutrienti della dieta.