27/02/10

Ictus: vitamina B efficace in recupero neurologico

La vitamina B può aiutare il recupero delle funzioni neurologiche nei pazienti colpiti da ictus attraverso la crescita di nuovi vasi sanguigni. Lo ha scoperto un gruppo di medici dell'Henry Ford Hospital di Detroit in uno studio presentato in occasione dell'International Stroke Conference di San Antonio. 

I medici americani hanno trovato che la vitamina B3 o 'niacina' (una comune vitamina solubile in acqua) ripristina la funzione neurologica del cervello dopo un ictus. Lo studio è stato condotto su topolini, ma gli scienziati credono che vi saranno grosse implicazioni nel trattamento sugli esseri umani. 

"Se si dimostrerà che può funzionare bene anche nei trial sugli esseri umani, potremmo avere benefici a basso costo, oltre che un trattamento facilmente tollerabile per una delle condizioni neurologicamente più devastanti", ha detto Michael Chopp, direttore scientifico dell'Henry Ford Neuroscience Institute, che ha coordinato lo studio. 

"Essenzialmente la niacina - ha spiegato - 'ricollega' il cervello e ha un potenziale molto interessante per gli esseri umani". Studi precedenti sulle vitamine B hanno indicato che queste possono aiutare nella prevenzione di infarti e ictus.
Ora questo nuovo studio ha scoperto che la niacina è in grado di far crescere nuovi vasi sanguigni nei topolini colpiti da ictus ischemico.

23/02/10

Livelli di vitamina D e carcinoma colorettale

E’ stato ipotizzato che la vitamina D, molto importante per l’omeostasi del calcio e per il metabolismo delle ossa, svolga un ruolo protettivo nei confronti dei tumori, modulando la proliferazione cellulare e l’apoptosi e inibendo l’angiogenesi. Tali effetti possono avere particolare rilevanza a livello delle cellule intestinali capaci di produrre la forma attiva di questa vitamina. 
Negli oltre 500.000 partecipanti allo studio EPIC, reclutati in 10 Paesi europei, sono stati correlati i livelli circolanti di vitamina D all’inizio dello studio, con l’incidenza di tumori del colon retto. 
Rispetto ad un valore plasmatico medio di vitamina D di 50-75 nmoli/L, livelli più bassi e più alti sono risultati associati rispettivamente ad un maggiore (RR 1,32) o minore (RR 0,88) rischio di carcinoma colorettale. Tra i soggetti con concentrazioni di vitamina D nel quintile più elevato è stata determinata una riduzione del 40% della probabilità di sviluppare un tumore, soprattutto al colon, rispetto ai soggetti con valori nel quintile più basso. 
Tuttavia, per quanto riguarda l’assunzione con la dieta, la riduzione del rischio è risultata associata con l’apporto di calcio e non di vitamina D. 
Questi dati indicano quindi che in presenza di bassi valori plasmatici di vitamina D aumenta il rischio di carcinoma colorettale e sottolineano la necessità di ulteriori studi mirati a verificare che l'incremento dei livelli circolanti di vitamina D possa ridurre l’incidenza di tumori del colon-retto.

14/02/10

La rete potrebbe rivelarsi efficace alleata per promuovere comportamenti alimentari pi salutari

Offrire accesso a programmi su internet che stimolino al consumo di frutta e verdure sembrerebbe aumentare la risposta positiva da parte degli utenti. Lo hanno verificato negli Stati Uniti, dove l’incidenza di obesità e patologie ad essa collegate sono direttamente provocate da un regime alimentare squilibrato e povero di frutta e verdura.
Christine Cole Johnson dell'Henry Ford's Department of Biostatistics and Research Epidemiology ha condotto uno studio che ha visto coinvolte sedici persone tra i 21 e i 65 anni che sono state divise in tre gruppi: il primo è stato assegnato a un programma online che forniva semplici informazioni sul consumo di frutta e verdura, il secondo ha avuto accesso a un programma individuale realizzato sulla base del proprio stile di vita e il terzo ha avuto accesso a un programma che aveva le due caratteristiche precedenti ma offriva anche la possibilità di colloqui motivazionali e consigli personalizzati per un anno.
Al termine dello studio i ricercatori hanno osservato che si registrava un miglioramento nella qualità della dieta di tutti i partecipanti, ma quelli del terzo gruppo erano riusciti a inserire l’abitudine al consumo regolare e quotidiano di cinque porzioni di frutta e verdura nel loro stile di vita.
“Le persone sono ben consapevoli che mangiare frutta e verdura è estremamente importante nella prevenzione di numerose malattie, ma spesso non vanno oltre le due porzioni al giorno: il nostro studio ha dimostrato che offrendo consigli su come inserire questi alimenti nella dieta e dando accesso a programmi di informazione online si possono ottenere interessanti miglioramenti”, ha spiegato la Cole Johnson Fonte Pagine Mediche

09/02/10

Allergia al latte nei bambini: la comunità scientifica internazionale stila un documento unico

Due bambini su cento sono colpiti dall’allergia al latte. Fino ad oggi i genitori hanno convissuto con questa condizione, provando a tenere lontano i bambini dal latte, dai derivati e da alimenti contenenti l’allergene. Ma guarire da questa allergia è possibile e lo hanno illustrato gli specialisti che, nei giorni scorsi, si sono riuniti a Milano in occasione del quarto meeting dell’allergologia pediatrica.
Gli allergologi presenti nel capoluogo meneghino hanno presentato le linee guida ufficiali DRACMA (Diagnosis and Rationale for Action Against Cow’s Milk Allergy) che rappresentano un punto di riferimento internazionale per il trattamento delle allergie pediatriche alle proteine del latte.
Il documento è frutto del lavoro di numerosi esperti di caratura internazionale che sono stati coordinati da Alessandro Fiocchi, primario del Reparto di pediatria dell'ospedale Macedonio Melloni di Milano e presidente della Commissione speciale sulle Allergie alimentari della World Allergy Organization.
Numerosi i punti toccati dalle nuove linee guida. Innanzitutto è importante garantire la certezza della diagnosi: spesso il bambino ha un’intolleranza al latte e non un‘allergia (che interessa circa il 2% della popolazione, soprattutto quella al di sotto dei tre anni), quindi per ottenere una diagnosi certa l’unico esame consigliato è il test da carico.
Una volta ottenuta una tempestiva e sicura diagnosi si può agire per affrontare l’allergia: si procede con una dieta di eliminazione, che prevede l’esclusione dalla dieta abituale del bambino di ogni forma di proteina del latte vaccino, e dopo due o tre anni si passa a un graduale reinserimento per piccole dosi fino a rendere l’organismo tollerante.
Nel frattempo il latte viene sostituito da altri alimenti: le linee guida Dracma sconsigliano l’utilizzo di latte di soia, che può provocare ulteriori allergie, e consigliano gli idrolisati delle pr

07/02/10

Legumi e colesterolemia

Evidenze osservazionali epidemiologiche confermano l’associazione inversa tra il consumo regolare di frutta e verdura e il rischio cardiovascolare. Si ipotizza infatti che il mancato consumo di questi alimenti sia responsabile di circa il 14% dei casi di infarto acuto del miocardio. In particolare numerosi studi dimostrano che elevati livelli di assunzione di legumi, che rappresentano una valida fonte di fibre insolubili e proteine vegetali, sono in grado di ridurre la colesterolemia e il rischio cardiovascolare. 
Tuttavia la maggior parte dei dati pubblicati riguarda il consumo specifico della soia; è invece meno chiaro l’effetto di una dieta ricca di altri legumi, quali i fagioli, i piselli o le lenticchie, più comunemente presenti nella dieta occidentale. 
In questa metanalisi sono stati valutati i dati ottenuti da 10 studi clinici randomizzati che hanno esaminato la relazione tra il consumo di legumi e il profilo lipidico, su un totale di circa 270 pazienti. I risultati dimostrano che il consumo  di piselli, lenticchie, fagioli o fave, per almeno 3 settimane, comporta una riduzione media di 11,8 mg/dL per il colesterolo totale e di 8 mg/dl per il colesterolo LDL, confermando che l’incremento dei livelli di consumo di legumi, e non solo di soia, può essere efficace nel controllo dei fattori di rischio con obiettivi di prevenzione cardiovascolare.
 Bazzano LA, Thompson AM, Tees MT, Nguyen CH, Winham DM.
Nutr Metab Cardiovasc Dis. 2009 Nov 23. 

05/02/10

Apporto di vitamina D e calcio e prevenzione delle fratture

Le fratture causate dalla fragilità ossea tipica dell’anziano costituiscono un importante problema sociale. 
La carenza di vitamina D, che è piuttosto frequente nell’età avanzata, si ripercuote sull’integrità delle ossa: la somministrazione di questa vitamina è indicata quale strategia per la prevenzione delle fratture nell’anziano. Tuttavia, i risultati di diversi studi suggeriscono che la supplementazione con la sola vitamina D non sia sufficiente a produrre effetti protettivi rilevanti, e che sia quindi necessario associarla con il calcio. 
Questa metanalisi ha valutato sette studi controllati per un totale di più di 68000 pazienti, di età compresa tra 47 e 107 anni, con lo scopo di stabilire l’efficacia del trattamento con vitamina D o con vitamina D più calcio, nella prevenzione delle fratture, tenendo in considerazione le caratteristiche dei pazienti. L'analisi dei dati dimostra che la somministrazione giornaliera di vitamina D alla dose di 10 µg al giorno, se associata al calcio, è in grado di ridurre del 25% diversi tipi di fratture, incluse quella dell’anca. Al contrario, la sola vitamina D, alla dose di 10 o 20 µg al giorno, non ha comportato alcun effetto protettivo. I risultati erano simili negli uomini e nelle donne ed indipendenti dall’età o da precedenti fratture. 
DIPART (Vitamin D Individual Patient Analysis of Randomized Trials) Group.
BMJ. 2010 Jan 12;340:b5463. doi: 10.1136/bmj.b5463.

04/02/10

Il parto cesareo non influisce sull'allattamento

Ricorrere al parto cesareo non ha conseguenze su quanto a lungo una mamma allatta al seno, secondo una ricerca britannica condotta su 2.000 donne.
Ciò che influenza la scelta di una madre di allattare più o meno a lungo è soprattutto l'etnia a cui appartiene e il numero di figli che ha avuto in precedenza, concludono i ricercatori sulla rivista BMC Pediatrics. Il Ministero della Sanità britannico da anni cerca di convincere le mamme che il neonato va nutrito esclusivamente con il latte materno per i primi sei mesi di vita, se possibile. La maggior parte delle donne inglesi, invece, abbandona l'allattamento al seno molto prima.
In Europa, si tratta del gruppo di donne con uno dei tassi più bassi di allattamento al seno. Diversi studi si sono chiesti perchè, mentre il governo ha cercato di convincere le signore inglesi a non rinunciare all'allattamento con diverse misure, tra cui il divieto di pubblicizzare il latte artificiale e programmi di informazione presso le strutture sanitarie.
Il nuovo studio, condotto dalla University of Manchester e dall'East Lancashire Primary Care Trust, ha seguito più di 2.000 mamme che hanno ricevuto corsi di formazione sull'allattamento al seno. In media queste donne hanno allattato, almeno in parte, per 21 settimane e metà di loro per più di 27 settimane, quindi molto più a lungo rispetto alla media nazionale britannica.
Ma sono state osservate differenze nei sottogruppi. Le donne bianche tendevano a interrompere diverse settimane prima delle donne non-bianche e le donne nere e indiane erano quelle che allattavano per più tempo. Non faceva differenza, invece, lo status economico della donna, nè il fatto che fosse sposata o single. Ancora, avere avuto un parto cesareo o comunque adiuvato da strumenti chirurgici non influiva sulla durata dell'allattamento, contrariamente a quanto hanno suggerito precedenti ipotesi. Infine, i bambini che sono stati avvicinati al seno della mamma entro un'ora dalla nascita (come raccomanda l'Organizzazione Mondiale della Sanità) non sono stati allattati più a lungo di quelli che hanno cominciato a nutrirsi dal seno meterno entro le prime 48 ore.
Influiva invece sulla tendenza della madre ad allattare più o meno a lungo un altro fattore: aver avuto precedenti parti. Le donne al terzo o quarto figlio allattavano più a lungo di quelle al primo figlio, forse perchè incoraggiate dalla passata esperienza.