Le mamme che allattano al seno sembrano avere, sul lungo termine, meno rischi di sviluppare una serie di fattori per il diabete e le malattie cardiache rispetto alle donne che non hanno allattato al seno, secondo un nuovo studio americano.
I ricercatori hanno scoperto, seguendo 700 donne per 20 anni, che quelle che avevano allattato avevano meno probabilità di sviluppare la cosiddetta sindrome metabolica, quell'insieme di fattori di rischio del diabete di tipo 2 e delle malattie cardiache che includono obesità addominale, pressione del sangue e glicemia elevate, colesterolo HDL ("buono") basso e trigliceridi alti.
Inoltre, l'apparente effetto protettivo era più forte tra le donne con una storia di diabete gestazionale, la forma di diabete che insorge durante la gravidanza e si risolve dopo il parto.
Pur se temporaneo, il diabete gestazionale finisce con l'aumentare il rischio di una donna di ammalarsi di diabete di tipo 2. I risultati del nuovo studio suggeriscono che l'allattamento al seno possa aiutare a neutralizzare questo rischio aumentato, afferma la coordinatrice, dottoressa Erica P. Gunderson della Division of Research del Kaiser Permanente di Oakland, California.
Lo studio, pubblicato online dalla rivista Diabetes, ha incluso 704 donne di età compresa fra 18 e 30 anni, che hanno avuto il primo figlio nel corso dello studio.
Nei 20 anni di follow-up, 120 donne hanno sviluppato la sindrome metabolica.
I ricercatori hanno scoperto che tra le donne senza diabete gestazionale quelle che avevano allattato al seno per più di un mese avevano una probabilità ridotta del 39-56% di sviluppare la sindrome (a seconda di quanto a lungo avevano allattato).
Tra le donne che invece avevano sofferto di diabete gestazionale, l'allattamento al seno per più di un mese riduceva il rischio di sindrome metabolica del 44-86%. Queste percentuali sono state ricavate dopo aver preso in considerazione una serie di importanti fattori di rischio della sindrome, come il peso della donna o i livelli di attività fisica.
Ma che cosa spiega l'effetto protettivo dell'allattamento al seno?
Non tanto il fatto che aiuta le donne a perdere i chili in eccesso accumulati in gravidanza, spiegano i ricercatori, quanto altri elementi: potrebbe per esempio avere un effetto positivo sui livelli di zuccheri nel sangue, sulla massa grassa corporea e sulla distribuzione del grasso nel corpo.
Per la Gunderson il suo studio suggerisce chiaramente che allattare al seno può produrre "benefici a lungo termine per la salute" delle mamme anche se occorreranno nuove ricerche per capire quanto il "forte effetto protettivo" contro la sindrome metabolica si traduca in una reale riduzione dell'incidenza di diabete e malattie cardiache.
09/12/09
Allattare fa bene anche alla mamma
02/12/09
La dieta giusta per lo sport
Tutti conosciamo l'importanza di una buona alimentazione per mantenere sano il nostro organismo e farlo funzionare al meglio. Se questo è valido per qualunque persona "normale", che svolge una vita più o meno sedentaria, ancor più lo è per coloro praticano uno sport e dal proprio corpo devono ottenere molto di più in termini di prestazioni fisiche e consumo energetico. Per chi fa attività sportiva, infatti, l'alimentazione riveste un ruolo determinante ed è importante che lo sportivo sappia quali sono gli alimenti che lo possono aiutare nella propria attività ed in quali quantità e modalità deve assumerli per poterne trarre tutti i benefici possibili. Esistono infatti differenze nell'alimentazione da seguire, in funzione del tipo di attività che si pratica.
Gli alimenti giusti
1. Chi svolge sport di resistenza (maratona, fondo e mezzofondo, gli sciatori, i ciclisti), infatti, necessita di una grande scorta di carboidrati che garantisca loro un apporto di glicogeno sufficiente a fornire energia durante gli sforzi prolungati. L'apporto di macronutrienti per questi sportivi dovrebbe essere suddiviso in: 60 percento carboidrati, 25 percento grassi, 15 percento proteine. Via libera, quindi, a pasta, riso, patate, pane, muesli, verdura, frutta fresca e secca.
2. Per chi invece pratica sport di forza, quali sollevamento pesi, lancio del peso, martello o disco, è importante l'apporto proteico, che favorisce lo sviluppo della massa muscolare; ovviamente, non deve mancare una buona percentuale di carboidrati, che forniranno il necessario apporto di energia, senza il quale l'organismo sarebbe costretto ad intaccare le riserve di proteine. L'apporto di grassi deve essere invece moderato, per consentire un ottimale consumo delle proprie energie. Una corretta proporzione di macronutrienti può essere così suddivisa: 55 percento carboidrati, 20 percento proteine, 25 percento grassi.
3. Per gli sportivi che praticano attività di velocità e scatto (gare di sprint, salto in lungo, 100 metri, nuoto sulle brevi distanze) sarà importantissimo un giusto apporto di carboidrati, l'unico nutrimento che garantisce energia immediata con il minor dispendio di ossigeno.
Inoltre, i carboidrati garantiscono la concentrazione mentale e la velocità di reazione. Altrettanto importanti per questi sportivi sono le vitamine ed i sali minerali, quindi la loro dieta deve prevedere molta frutta e verdura fresche, carne magra, pesce, alimenti integrali. Una giusta proporzione dei macronutrienti sarà: 60 percento carboidrati, 20 percento proteine, 20 percento grassi. L'apporto proteico per una persona che pratica attività fisica moderata dovrebbe essere di circa 1 grammo per ogni kg di peso corporeo; per coloro i quali svolgono attività agonistica, la dose giornaliera consigliata sale da 1,1 a 1,7 grammi per ogni kg di peso corporeo. Alimenti proteici poveri di grassi sono: latte scremato, yogurt, carne magra, pesce, legumi, soia. Un alimento che non deve mancare nella dieta di qualunque sportivo, sia esso fondista, velocista o sollevatore di pesi, è l'acqua: preziosa fonte di sali minerali ed elemento essenziale per una buona costituzione dell'organismo umano.
Un'altra importante considerazione va fatta riguardo al tempo di digestione dei vari alimenti: è infatti importantissimo non appesantire lo stomaco che, altrimenti, sottrarrebbe preziose energie all'organismo per digerire gli alimenti pesanti che si sono ingeriti. Bisogna ricordare che più i cibi sono grassi, maggiore è la loro permanenza nello stomaco; che i cibi sminuzzati o ben masticati hanno permanenza più breve rispetto ai cibi interi e che gli alimenti liquidi, le minestre e le bevande sono in assoluto gli alimenti più digeribili e lasciano lo stomaco nel tempo più breve rispetto a tutti gli altri. Ad esempio, le bevande contenenti carboidrati in varie concentrazioni lasciano lo stomaco in 15-30 minuti; frutta, latte scremato, yogurt, muesli, fiocchi d'avena necessitano di 1-2 ore; i pasti leggeri (riso con verdure, pesce, minestra con pasta in brodo, pasta con sugo di pomodoro leggero) lasciano lo stomaco in 2-3 ore; pasti normali variati (carne, patate, verdura, pasta al ragù) necessitano di 3-4 ore; infine, alimenti ricchi di grassi e i piatti ricchi di fibre (legumi, carni grasse) necessitano di 4 e più ore per lasciare lo stomaco. Un'ultima annotazione può essere fatta a proposito degli integratori: molti sportivi ne fanno uso, ma vorremmo ricordare che è preferibile cercare negli alimenti e non negli integratori, ciò di cui abbiamo bisogno.
Innanzitutto a causa della biodisponibilità: i nutrienti presenti negli alimenti, infatti, raramente sono presenti da soli. I cibi sono costituiti da miscele di sostanze che possono favorire o interferire con l'assorbimento dei nutrienti, senza squilibrarne l'apporto complessivo; per questo l'assunzione di nutrienti in forma pura, sotto forma di pillole, rischia di creare interferenze e squilibri nella corretta assunzione dei nutrienti. Alcuni esempi: un'assunzione, anche per brevi periodi, di 50 mg/die di zinco interferisce con il corretto metabolismo di ferro e rame, mentre il calcio può interferire con l'assunzione di ferro e zinco. Inoltre, gli alimenti contengono antiossidanti in forme chimiche diverse, mentre nelle pillole si trova una sola forma chimica, e anche questo provoca squilibri. In conclusione, i principi nutritivi più sani ed equilibrati sono in assoluto quelli che l'organismo riceve dagli alimenti freschi, quindi è sufficiente un'alimentazione variata e ben bilanciata per assicurarci tutte le vitamine ed i sali minerali di cui abbiamo bisogno. Fonti preziosissime per apportare all'organismo questi microelementi sono: frutta e verdura fresche, frutta secca, alimenti integrali, pesce, acqua.
28/11/09
Cibi ricchi di alcuni tipi di flavonoidi riducono il rischio di tumore al colon e al retto
Una corretta alimentazione può offrire una concreta possibilità di prevenzione del tumore al colon e al retto per le persone normopeso e in sovrappeso.
Mangiare frutta e verdura e bere regolarmente tè e vino rosso sono alcune delle scelte in materia di alimentazione che possono rivelarsi efficaci ed estremamente salutari per la prevenzione di questi tumori.
Una studiosa della Maastricht University, Colinda Simons, insieme ai suoi colleghi ha esaminato il legame tra l’assunzione di flavonoidi e il rischio di tumori in 120.852 uomini e donne di età compresa tra i 55 e i 69 anni.
Questi soggetti sono stati seguiti per 13 anni, durante i quali 1.444 uomini e 1.041 donne si sono ammalati di cancro al colon o al retto.
A questo punto i ricercatori olandesi hanno potuto tirare le somme sull’incidenza che le abitudini alimentari di queste persone esercitavano sul rischio-insorgenza del cancro.
I risultati hanno evidenziato che la regolare assunzione di alcuni tipi di flavonoidi non sarebbe di per sé un fattore di riduzione del rischio, se associato alla presenza di altri fattori come età, fumo, alcolismo, sedentarietà.
Ma se si prende in considerazione solo il peso dei soggetti, allora il consumo abituale di cibi ad alto contenuto di flavonoidi assume una sua specifica capacità preventiva: in sottogruppi costituiti da uomini in sovrappeso e donne normopeso, infatti, le scelte alimentari sono risultate essere direttamente collegate all’aumento del rischio.
Una minore incidenza del tumore al colon e al retto è emersa in quegli uomini in sovrappeso e donne normopeso che assumevano con regolarità cibi ricchi di catechine (come i frutti di bosco, il cioccolato fondente, il te, il vino rosso e alcuni fagioli) e lo stesso beneficio è emerso per le donne normopeso che assumevano abitualmente flavonoli, contenuti in cipolle, mele, succhi di frutta, vino, tè.
Lo studio è apparso sulle pagine dell’International Journal of Cancer.
18/11/09
Cuore a rischio se vitamina D carente
Il latte si sa, fa bene alle ossa. Ora però un nuovo studio dell'Institute Intermountain Medical Center di Salt Lake City suggerisce che la vitamina D contribuisce ad avere un cuore forte e sano, e che inadeguati livelli possono far significativamente aumentare il rischio di ictus e malattie cardiache.
Per più di un anno i ricercatori hanno osservato 27.686 pazienti di 50 anni o più, con nessuna precedente storia di malattie cardiovascolari. I pazienti sono stati divisi in tre gruppi in base ai loro livelli di vitamina D: normale (più di 30 nanogrammi per millilitro), basso (!5-30 nanogrammi/ml) o molto basso (meno di 15 nanogrammi/ml).
Lo studio ha dimostrato che nei pazienti con livelli molto bassi di vitamina D aumentava del 77% le probabilità di morte, del 45% le probabilità di sviluppare malattie coronariche, del 78% delle probabilità di avere un ictus rispetto a pazienti con livelli normali.
Inoltre i pazienti con livelli molto bassi di vitamina D avevano anche due volte più probabilità di sviluppare una insufficienza cardiaca rispetto a quelli con un normale livello di vitamina D.
I risultati della ricerca saranno presentati oggi a Orlando in Florida all'American Heart Association's Scientific Conference.
"Questo è uno studio unico perchè l'associazione tra la carenza di vitamina D e le malattie cardiovascolari non è stata consolidata", spiega Brent Muhlestein, direttore della ricerca cardiovascolare dell'Institute Intermountain Medical Center e uno degli autori dello studio.
"Le sue conclusioni potrebbero prevenire le malattie e fornire un trattamento per aiutano a salvare vite umane".
E' già stato dimostrato in passato che la vitamina D è coinvolta nella regolazione del corpo di calcio, nel rafforzamento delle ossa, e, di conseguenza, la sua carenza è associata a disturbi muscolo-scheletrici.
Recentemente si è invece dimostrato la associazione tra la vitamina D e la regolazione di molte altre funzioni corporee tra cui la pressione arteriosa, il controllo del glucosio e delle infiammazioni, tutti importanti fattori di rischio legati alla malattia di cuore.
Da questi risultati, gli scienziati hanno ipotizzato che la carenza di vitamina D può anche essere collegata alla malattia del cuore stesso. Il dottor Muhlestein sottolinea anche che un gruppo di pazienti dello Utah ha fornito valide indicazioni: "Nello Utah vi è un basso uso di tabacco e alcol, per questo siamo stati in grado di restringere il campo sugli effetti della vitamina D sul sistema cardiovascolare".
I risultati sono stati piuttosto sorprendenti e importanti, continua Heidi May, epidemiologo, altro autore dello studio.
"Siamo giunti alla conclusione che tra i pazienti con 50 anni di età o più anziani, anche una moderata carenza di vitamina D è stata associata con lo sviluppo di malattia coronarica, insufficienza cardiaca, ictus, e morte".
"Questo - aggiunge - è importante perchè la carenza di vitamina D è facilmente curabile". Ovviamente lo studio, di sola osservazione, non garantisce la certezza di un collegamento tra vitamina D e le malattie di cuore, però getta le basi per ulteriori studi.
"Riteniamo che i risultati sono abbastanza importanti da giustificare sperimentazioni cliniche - conclude il dottor Muhlestein - per determinare con certezza quello che abbiamo scoperto".
02/11/09
La Stevia: un dolcificante naturale con un potenziale
La pianta Stevia, utilizzata per secoli dagli indigeni del Sud America, ha recentemente conquistato l’onore delle cronache. La Stevia contiene un dolcificante naturale chiamato stevioside (glucoside dello steviolo) che è fino a 300 volte più dolce dello zucchero senza però fornire calorie. Un nuovo ingresso nella vasta gamma dei dolcificanti che potrebbe aiutare a controllare il peso? I consumatori europei dovranno aspettare. Il sapore dolce A ogni neonato piace il sapore dolce, a prescindere dalla dieta che assume la madre durante la gravidanza. I gusti per i sapori dolci si sviluppano per i bambini e gli adulti a seconda delle singole esperienze alimentari e per questo motivo variano considerevolmente da persona a persona. Al giorno d’oggi, sono disponibili sul mercato un gran numero di dolcificanti in grado di dare un sapore dolce, senza però fornire l’energia che deriva dallo zucchero. Tra questo grosso gruppo di composti troviamo dolcificanti che vengono definiti intensi come l’aspartame, l’acesulfame potassico (K), la saccarina e lo steviolo che hanno un sapore centinaia di volte più dolce dello zucchero stesso. Dato che per dolcificare sono necessarie solo piccolissime quantità, il loro apporto energetico è spesso trascurabile se paragonato allo zucchero. A differenza degli altri dolcificanti intensi, lo steviolo ha un ulteriore attrattiva, ossia derivare interamente da una pianta, proprio come lo zucchero. L’origine della Stevia Stevia rebaudiana Bertoni o più comunemente Stevia, deve il suo nome al botanico svizzero Moisès Santiago Bertoni che la descrisse per primo. È un’erba nativa del Centro e del Sud America e appartiene alla stessa famiglia di piante del girasole e della cicoria. Ampiamente coltivata per le sue foglie dolci, la Stevia è stata utilizzata per secoli dai nativi sudamericani come dolcificante tradizionale, aggiunto a tisane e altre bevande. Nelle sue foglie sono presenti due principali composti glicosidici dal sapore dolce: lo stevioside e il rebaudioside A. Questi composti sono più dolci dello zucchero di circa 200-300 volte e quindi è sufficiente solo una piccolissima quantità per raggiungere la dolcezza desiderata. Sono proprio questi glicosidi ad essere stati oggetto di recenti studi sulla sicurezza e di approvazioni. Potenziali benefici per la salute Dato che lo steviolo non contiene calorie significative, proprio come altri dolcificanti intensi, permette ai consumatori di godere del sapore dolce senza però aggiungersi all’ apporto energetico giornaliero. Quando usati nella dieta come sostituti dello zucchero, i dolcificanti ad alta intensità possono essere un aiuto efficace nel controllo del peso corporeo. Persone con rare malattie genetiche come la Fenilchetonuria (PKU) devono controllare il loro apporto di fenilalanina da qualsiasi fonte, incluso l’aspartame; per loro, lo steviolo sarebbe per esempio un ottimo sostituto privo di fenilalanina. La Stevia nel mondo La Stevia è coltivata ancora oggi in America Latina ma, il mercato della produzione è detenuto in questo momento dai paesi asiatici. La Cina è il maggior coltivatore di Stevia al mondo, mentre il Giappone e la Corea rappresentano al momento i maggiori mercati per gli estratti di Stevia. Recentemente, USA, Australia e Nuova Zelanda hanno autorizzato nei loro mercati alcuni preparati di Stevia come ingredienti per cibi e bevande. E in Europa? Nel 1999, la Commissione Europea, ha negato l’autorizzazione per l’utilizzo di piante di Stevia o di sue foglie essiccate come alimento o ingrediente per alimenti, a causa di una sicurezza non sufficientemente provata. Per questo motivo, alimenti e bevande che contengono Stevia o estratti di Stevia non sono autorizzati nei mercati dell’Unione Europea. Sin da allora sono stati eseguiti molti studi che riguardano la loro sicurezza. Nel 2008, diversi esperti del JECFA (Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives) e dell’FDA (American Food and Drug Administration) hanno dichiarato sicuro l’uso dello steviolo puro (≥ 95%) per il consumo umano.4,5 Il JECFA ha definito accettabile un apporto giornaliero di 0-4 mg/kg per peso corporeo che equivale ad una dose giornaliera fino a 240 mg per una donna di 60 kg o fino a 280 mg per un uomo di 70 kg. Entro Marzo 2010, l’EFSA eseguirà una valutazione combinata sulla sicurezza dello steviolo. In caso di opinione favorevole da parte dell’ EFSA, è probabile che la direttiva europea sui dolcificanti venga aggiornata in modo da includere anche lo steviolo. Nel frattempo, gli Stati membri possono autorizzare i dolcificanti alla Stevia sul proprio territorio secondo la legge di transizione esistente. Recentemente, la Francia ha autorizzato per 2 anni l’uso del rebaudioside A al 97% di purezza nei cibi e nelle bevande. Con questa informazione potrebbero apparire nel prossimo futuro in alcuni mercati europei alcuni prodotti addolciti con i glicosidi della Stevia.
30/10/09
Verdure in gravidanza per ridurre il rischio che il nascituro sia diabetico
Le donne in dolce attesa devono prestare particolare attenzione alla loro dieta abituale, e non soltanto per non metter su troppi chili ma anche per garantire al feto tutti i nutrimenti di cui ha bisogno.
Lo conferma una recente ricerca condotta presso la Sahlgrenska Academy in collaborazione con la Linköping University e pubblicata su Pediatric Diabetes.
Gli studiosi hanno analizzato campioni di sangue di 6.000 bambini di sei anni di età per individuare una eventuale predisposizione al diabete di tipo 1 (in tal caso i globuli bianchi attaccano le cellule pancreatiche che producono insulina).
Il 3% dell’intero campione è risultato essere diabetico e i ricercatori hanno, così, potuto dimostrare che il rischio di diventare diabetico risultava doppio in quei bambini la cui mamma, durante la gravidanza, aveva consumato poche verdure.
I figli di donne che avevano mangiato verdura ogni giorno, invece, risultavano avere i rischi più bassi.
Hilde Brekke, a capo della ricerca, ha chiarito che questo studio non dimostra inequivocabilmente che le verdure svolgano un’azione preventiva ma certamente rappresenta un primo passo per capire in che modo lo stile di vita e quello alimentare della futura madre incidano sullo sviluppo del feto.
17/10/09
Obesità: toglie fino a 12 anni di vita
Le persone gravemente obese (che superano di 40-50 chili il loro peso-forma) hanno una vita più breve di 3-12 anni rispetto ai coetanei normopeso, secondo una nuova ricerca americana.
La ricerca conferma che l'obesità vera e propria ha conseguenze gravi sulla salute e la durata della vita di un individuo - un dato che conta molto in una società come quella americana dove un terzo degli adulti è obeso. Il problema è anche economico: l'autore della nuova ricerca Eric Finkelstein e gli esperti del Centers for Disease Control and Prevention hanno recentemente calcolato che gli americani obesi sono costati al Paese 147 miliardi di dollari in spese mediche nel 2008, il doppio rispetto al 1998.
Non a caso, Finkelstein fa parte di un gruppo di economisti dell'organizzazione no-profit Rti International, che ha analizzato i dati di 366.000 americani.
I risultati sono riportati dalla rivista Obesity.
Fumare non fa che peggiorare la situazione: un uomo bianco di 18 anni che è normopeso e non fuma può aspettarsi di vivere fino a 81 anni negli Stati Uniti, ma se fuma ed è gravemente obeso, vivrà fino a 60 anni.
Come se non bastasse, un altro studio, condotto da Paul Thompson, professore di neurologia della Ucla, in California, sostiene che l'obesità causa anche una "grave degenerazione del cervello": osservando gli esami al cervello di 94 adulti di 70 anni circa, il professore ha scoperto che i soggetti obesi avevano l'8% di tessuto cerebrale in meno rispetto ai coetanei normopeso e che i loro cervelli sembravano più vecchi di 16 anni.
Le persone sovrappeso avevano il 4% di tessuto cerebrale in meno e il loro cervello sembrava più vecchio di 8 anni. Thompson ha trovato perdita di tessuto nelle aree addette al ragionamento più elaborato: problem-solving, controllo del linguaggio e degli impulsi, memoria e navigazione spaziale, apprendimento e funzioni motorie
12/10/09
Bebè a rischio se mamme incinte mangiano liquirizia
La liquirizia può far male alle donne incinte, causando nei loro figli problemi di concentrazione e di iperattività.
Lo rivelano gli scienziati delle Università di Helsinki ed Edimburgo, secondo cui i figli di donne che hanno consumato molta liquirizia durante la gravidanza hanno punteggi sui test di intelligenza minori rispetto al normale.
"Un componente dalla liquirizia, chiamato 'glycyrrhiza', potrebbe danneggiare la placenta e permettere il passaggio di ormoni dello stress da madre a figlio", ha detto Katri Raikkonen, ricercatore che ha preso parte allo studio pubblicato sull'American Journal of Epidemiology.
"Questi ormoni possono influenzare la crescita del cervello del bambino durante la gravidanza, risultando in problemi comportamentali", ha aggiunto.
Lo studio è stato condotto in Finlandia, dove la liquirizia è molto popolare ed è usata come aroma anche per bevande, gelati e altri alimenti.
"Abbiamo analizzato 321 bambini dell'età di otto anni e valutato le loro capacità spaziali, verbali e di memoria", ha spiegato Raikkonen.
"Le madri - ha continuato - che durante la gravidanza hanno mangiato molta liquirizia (per almeno 500 milligrammi di 'glycyrrhiza' a settimana) hanno dato alla luce figli con minore intelligenza. Inoltre, questi bambini hanno più probabilità di comportamenti aggressivi e distruttivi".
I ricercatori suggeriscono alle madri in attesa di evitare del tutto la liquirizia. Uno studio precedente aveva già rivelato che alti quantitativi di questo dolciume possono portare anche a nascite premature
05/10/09
I pediatri d'accordo: no al latte vaccino prima dell'anno
Introdurre troppo presto il latte vaccino nella dieta dei bambini esporrebbe la salute a seri rischi in età adulta. A ribadirlo gli esperti di nutrizione pediatrica in occasione del Congresso "Nutrizione e metabolismo nel bambino" tenutosi di recente a Verona.
In particolare, l'American Academy of Pediatrics, il Ministero della Salute e la Società italiana di Pediatria hanno sconsigliato la somministrazione di latte vaccino intero nei primi dodici mesi di vita, in accordo anche alle linee guida sull'alimentazione durante il primo anno di vita dell'Espghan (Società europea di Gastroenterologia, Epatologia e Nutrizione pediatrica). Il latte vaccino assunto prima dei 12 mesi di vita esporrebbe soprattutto al rischio di anemia: a 1 anno il 17% di bambini allattati con latte vaccino è anemico rispetto all'1% dei lattanti alimentati con formula integrata.
Il ferro nel latte vaccino, infatti, ha una biodisponibilità oltre 10 volte inferiore rispetto al latte materno che dovrebbe, quindi, essere somministrato almeno al compimento del primo anno e in caso di mancanza essere sostituito con una formula specificamente studiata. In aggiunta, i rischi dell'assunzione precoce sono rappresentati dall'eccessivo introito di proteine, grassi saturi e colesterolo, che predisporrebbero a problemi di obesità e aterosclerosi e dalla carenza di acidi grassi essenziali e vitamine.
Attività fisica per prevenire il rischio di infarto
Un'attività fisica sana, regolare e senza sforzi aumenta il colesterolo buono (HDL), diminuisce quello cattivo (LDL), abbassa la pressione arteriosa e i livelli di glicemia ma, soprattutto, riduce il rischio di aritmie minacciose e di morti improvvise. Lo sport praticato senza continuità e interrotto bruscamente può essere dannoso, meglio farlo con gradualità e costanza. Secondo recenti studi statunitensi, l'esercizio fisico ridurrebbe del 25% i rischi di mortalità da infarto. Infatti, la probabilità di un primo attacco cardiaco risulta raddoppiato nelle persone sedentarie di sesso maschile rispetto a coloro che praticano sport. Gli esercizi anti-infarto sono: nuoto, tennis, footing possibilmente all'aperto e, comunque, mai meno di quattro volte a settimana per 40 minuti a seduta. Sì allo sport, quindi, anche se gli esperti sconsigliano di praticarlo quando fa caldo o troppo freddo o dopo aver mangiato abbondantemente. Nel caso in cui il paziente sia stato sottoposto a intervento chirurgico c'è la ginnastica “calistenica”, che consiste in una serie di esercizi dolci da far eseguire dopo la seconda settimana dall'infarto e dopo la terza dall'operazione, in modo da evitare un secondo infarto ed un peggioramento della malattia ischemica di fondo. E' notizia di questi giorni che in dieci anni la sindrome coronaria acuta responsabile degli attacchi è scesa dal 10 al 5%. Ogni anno in Italia sono vittime di malattie cardiovascolari 242mila persone. Di queste, il 30 per cento, cioè 73mila, sono dovute all'infarto del miocardio: 187 decessi ogni 100mila abitanti. Nel Bel Paese i pazienti affetti da cardiopatia ischemica, l'anticamera della sindrome coronaria acuta, sono un milione e 500mila. Un dato finale: gli uomini nell'età compresa tra i 50 e i 70 anni sono a maggiore rischio infarto rispetto alle donne, soprattutto nei paesi nordici dove è più alto il consumo di grassi animali.
25/08/09
Poco fitness al giorno allunga la vita
Le persone che si tengono anche solo moderatamente in forma man mano che gli anni passano potrebbero garantirsi una vita più lunga rispetto a coloro che restano completamente inattivi con l'avanzare dell'età.
Lo afferma un nuovo studio neozelandese, condotto su quasi 4.400 adulti sani.
Gli scienziati hanno scoperto che le persone che non svolgevano alcuna attività fisica (circa il 20% del totale) avevano il doppio delle probabilità di morire nei successivi nove anni rispetto agli individui anche solo un pò più attivi.
"I nostri risultati suggeriscono che uno stile di vita sedentario, più che le differenze nei fattori di rischio cardiovascolari o l'età, possa spiegare i tassi di mortalità doppi negli individui sedentari rispetto a quelli leggermente più attivi", dichiara la coordinatrice della ricerca, dottoressa Sandra Mandic, della University of Otago a Dunedin, Nuova Zelanda.
Gli studiosi ricordano che il minimo di attività fisica consigliata è di 30 minuti, corrispondente per esempio a una camminata veloce, cinque o più volte a settimana. Due terzi delle persone più sedentarie dello studio non facevano nemmeno questo, sottolinea la Mandic.
"Occorre mantenere un certo livello di fitness svolgendo regolarmente attività fisica", secondo la ricercatrice.
Lo studio, pubblicato da Medicine and Science in Sports and Exercise, ha incluso 4.384 donne e uomini di mezza età o anziani; all'inizio sono stati testati i loro livelli di fitness e, in base all'allenamento, i partecipanti sono stati divisi in cinque gruppi.
Il follow-up è durato dal 1986 al 2006. In questo periodo tutte le persone meno allenate (un quarto) sono morte, contro il 13% di quelle solo lievemente più in forma. Nel gruppo degli adulti più in forma, solo il 6% è deceduto nel corso dello studio.
20/08/09
Come affrontare a tavola un fine agosto rovente
Il caldo, l'esposizione diretta alla luce solare, l'aumento della sudorazione, sono elementi potenzialmente dannosi, i cui effetti vanno tenuti sotto controllo specialmente in questi giorni in cui gli esperti hanno annunciato temperature, soprattutto nelle città, che andranno a toccare i 38 C°.
E' importante, quindi, assicurare il benessere globale del nostro organismo e godersi così vacanze serene e rilassanti o sopravvivere all'afa cittadina.
"L'idratazione è certamente un fattore di grande importanza. Bere molto è dunque il primo consiglio per un'alimentazione corretta" - spiega Andrea Poli del Nutrition Foundation Italy.
"Per quanto riguarda l'alimentazione, il consiglio principale è quello di scegliere cibi leggeri e sfiziosi, capaci di soddisfare l'appetito senza appesantire. E' bene dunque limitare gli alimenti troppo ricchi o troppo conditi, per lasciare spazio a verdure, frutta e pesce".
Il pesce è particolarmente utile per coloro che sono già rientrati dalle ferie e devono affrontare l'afa nelle città. Il salmone, è senza dubbio una delle specie più indicate nei periodi caldi, perchè ricco dei preziosi acidi grassi omega 3 'a lunga catena', di iodio e delle vitamine del gruppo B, D ed E.
Recenti studi scientifici dimostrano infatti che l'alto contenuto di iodio rappresenta un vero toccasana per la salute e per chi non si trova in vacanza al mare può godere dei suoi effetti benefici attraverso una dieta ricca di iodio presente in alcuni alimenti, quali stoccafisso, merluzzo, aringa, salmone o verdure come asparagi, carote, rape.
06/08/09
Dieta mediterranea e benessere
La percezione del livello di salute psico-fisica è strettamente correlata all’adesione alla dieta mediterranea.
Lo evidenzia uno studio spagnolo randomizzato e controllato, condotto su 3910 uomini e 4285 donne seguiti tra il 2000 e il 2005.
La scomposizione dei questionari di frequenza dei consumi alimentari ha permesso di valutare le diete dei soggetti allo studio e di categorizzarle in base al numero di fattori tipici della dieta mediterranea presenti in esse (livelli di assunzione di cereali, verdura, frutta, legumi, pesce, olio d’oliva, frutta secca e consumo moderato di vino).
La correlazione tra grado di benessere mentale percepito e livello di adesione alla dieta mediterranea è rimasta statisticamente significativa anche dopo correzione per alcuni fattori confondenti (età, fumo, IMC, consumo di alcol, livello di istruzione, grado di attività fisica nel tempo libero, presenza di malattie croniche) per entrambi i sessi.
Tuttavia l’associazione tra dieta e benessere fisico è risultata maggiore per gli uomini che per le donne, che in generale praticavano meno attività fisica ed avevano un grado di istruzione inferiore.
Secondo gli autori i benefici della dieta mediterranea, che hanno solide basi biologiche e che sono già ampiamente confermati da numerose evidenze epidemiologiche e cliniche, vanno almeno in parte attribuiti anche al contesto sociale e allo stile di vita ad essa associati, che a loro volta contribuiscono al senso di benessere.
04/08/09
In Italia cresce il numero dei bambini obesi
Ben quattro italiani su dieci (43%) risultano sovrappeso o addirittura obesi (11%), con una
netta prevalenza degli uomini rispetto alle donne. La Coldiretti, associazione dei coltivatori diretti, sottolinea che gli italiani in sovrappeso sono aumentati del 25 per cento negli ultimi 15 anni per un totale di oltre quattro milioni e sono più diffusi al sud mentre gli over 40 anni sono i più a rischio.
Se durante l'anno il 28% degli italiani conduce uno stile di vita sedentario, mentre solo il 10% mangia frutta cinque volte al giorno secondo le regole della sana alimentazione, in prossimità dell'estate si registra - precisa la Coldiretti - un aumento dell'esercizio fisico e dei consumi di prodotti come la frutta e la verdura particolarmente indicati per recuperare la forma fisica.
“La ripresa nei consumi è anche - continua la Coldiretti - favorita dalla grandi disponibilità e varietà di frutta offerta in questo periodo in Italia che e' leader europeo nella produzione per una quantità complessiva di 8,2 miliardi di chili, risultata in leggero calo del 3,1 per cento nel 2008”.
La crescente diffusione di casi di obesità e di sovrappeso interessano in media un terzo dei ragazzi tra i 6 e gli 11 anni secondo l'indagine 'OKkio alla Salute' condotta dall'Istituto Superiore di Sanità nel 2008.
“E' anche questo il risultato del fatto che - sottolinea la Coldiretti - un bambino su quattro non consuma ortofrutta a tavola almeno una volta al giorno con ben sette ragazzi su dieci che rifiutano quotidianamente la verdura.
Non si tratta solo di aspetto fisico poiché l'aumento di è un importante fattore di rischio per molte malattie come i problemi cardiocircolatori, il diabete, l'ipertensione, l'infarto e certi tipi di cancro, nei confronti delle quali la dieta mediterranea ha dimostrato scientificamente di essere particolarmente efficace nella
prevenzione”.
Effetto delle proteine e dei carboidrati sull'assunzione calorica e sul senso di sazietà
L’aumentata incidenza di obesità nelle società moderne viene spesso associata al consumo eccessivo dicarboidrati e di bevande zuccherate o dolci.
La loro assunzione comporterebbe un bilancio energetico positivo (per la minore capacità di queste “calorie liquide” di attivare i meccanismi della sazietà) e di conseguenza l’aumento del peso corporeo.
D’altra parte è ormai dimostrato come le diete ricche in proteine abbiano un potere saziante maggiore rispetto a diete ricche incarboidrati.
In questo studio controllato, sono stati valutati il senso di sazietà postprandiale e l’apporto energetico al pasto successivo (4 ore più tardi) in 34 soggetti sovrappeso, che hanno consumato in due tempi diversi due prime colazioni isocaloriche, una che comprendeva 600 ml di latte scremato e l’altra che comprendeva lo stesso volume di succo di frutta.
Il consumo di latte, e quindi di una maggiore quota proteica, ha comportato un maggiore senso di sazietà nelle 4 ore successive alla colazione, ed un ridotto apporto energetico con il pranzo rispetto al consumo di bevanda alla frutta.
I risultati dimostrano quindi che sostituire un succo di frutta con del latte scremato a colazione può influenzare favorevolmente l’intake energetico complessivo della giornata, nei soggetti sovrappeso.
Allarme diabete nei bambini: +70% entro il 2020
Un gruppo di ricercatori irlandesi dell’Università di Belfast, guidati dal dottor Chris
Pattersen, ha lanciato l’allarme: l’incidenza del diabete di tipo 1 nei bambini europei sotto i
cinque anni d’età è destinata ad aumentare drasticamente entro il 2020.
Per i bambini sotto
i 15 anni, si prevede un aumento di casi di circa il 70%.
Sono stati esaminati i dati di oltre 29mila pazienti diabetici appartenenti a 17 Stati europei
in un periodo che va dal 1989 al 2003.
I risultati, pubblicati sulla rivista "The Lancet",
mettono in evidenza come in questi anni i nuovi casi di diabete diagnosticati siano
aumentati di una media del 3,9% all’anno, con una prevalenza di casi nei bambini sotto i
cinque anni che si attesta intorno al 5,4%.
Il diabete di tipo 1 può esordire, infatti, anche in età pediatrica ed è caratterizzata dalla
necessità di cure e di controlli intensivi.
È dovuto a una carenza insulinica, al contrario del
più diffuso diabete di tipo 2 dovuto in genere a obesità o vecchiaia.
Gli scienziati prevedono
che, al ritmo attuale, nel 2020 ci saranno solo in Europa circa 160mila adolescenti affetti da
diabete di tipo 1 contro i 94mila accertati nel 2005.
Secondo i dati diffusi dalla European
Association for the Study of Diabetes, questa malattia uccide nel mondo una persona ogni
dieci secondi. La causa, dunque, non può essere unicamente genetica, ma anche lo stile di
vita può influire significativamente.