28/11/09

Cibi ricchi di alcuni tipi di flavonoidi riducono il rischio di tumore al colon e al retto

Una corretta alimentazione può offrire una concreta possibilità di prevenzione del tumore al colon e al retto per le persone normopeso e in sovrappeso.
Mangiare frutta e verdura e bere regolarmente tè e vino rosso sono alcune delle scelte in materia di alimentazione che possono rivelarsi efficaci ed estremamente salutari per la prevenzione di questi tumori. Una studiosa della Maastricht University, Colinda Simons, insieme ai suoi colleghi ha esaminato il legame tra l’assunzione di flavonoidi e il rischio di tumori in 120.852 uomini e donne di età compresa tra i 55 e i 69 anni. Questi soggetti sono stati seguiti per 13 anni, durante i quali 1.444 uomini e 1.041 donne si sono ammalati di cancro al colon o al retto.
A questo punto i ricercatori olandesi hanno potuto tirare le somme sull’incidenza che le abitudini alimentari di queste persone esercitavano sul rischio-insorgenza del cancro.
I risultati hanno evidenziato che la regolare assunzione di alcuni tipi di flavonoidi non sarebbe di per sé un fattore di riduzione del rischio, se associato alla presenza di altri fattori come età, fumo, alcolismo, sedentarietà. Ma se si prende in considerazione solo il peso dei soggetti, allora il consumo abituale di cibi ad alto contenuto di flavonoidi assume una sua specifica capacità preventiva: in sottogruppi costituiti da uomini in sovrappeso e donne normopeso, infatti, le scelte alimentari sono risultate essere direttamente collegate all’aumento del rischio.
Una minore incidenza del tumore al colon e al retto è emersa in quegli uomini in sovrappeso e donne normopeso che assumevano con regolarità cibi ricchi di catechine (come i frutti di bosco, il cioccolato fondente, il te, il vino rosso e alcuni fagioli) e lo stesso beneficio è emerso per le donne normopeso che assumevano abitualmente flavonoli, contenuti in cipolle, mele, succhi di frutta, vino, tè.
Lo studio è apparso sulle pagine dell’International Journal of Cancer.

18/11/09

Cuore a rischio se vitamina D carente

Il latte si sa, fa bene alle ossa. Ora però un nuovo studio dell'Institute Intermountain Medical Center di Salt Lake City suggerisce che la vitamina D contribuisce ad avere un cuore forte e sano, e che inadeguati livelli possono far significativamente aumentare il rischio di ictus e malattie cardiache.
Per più di un anno i ricercatori hanno osservato 27.686 pazienti di 50 anni o più, con nessuna precedente storia di malattie cardiovascolari. I pazienti sono stati divisi in tre gruppi in base ai loro livelli di vitamina D: normale (più di 30 nanogrammi per millilitro), basso (!5-30 nanogrammi/ml) o molto basso (meno di 15 nanogrammi/ml). Lo studio ha dimostrato che nei pazienti con livelli molto bassi di vitamina D aumentava del 77% le probabilità di morte, del 45% le probabilità di sviluppare malattie coronariche, del 78% delle probabilità di avere un ictus rispetto a pazienti con livelli normali.
Inoltre i pazienti con livelli molto bassi di vitamina D avevano anche due volte più probabilità di sviluppare una insufficienza cardiaca rispetto a quelli con un normale livello di vitamina D.
I risultati della ricerca saranno presentati oggi a Orlando in Florida all'American Heart Association's Scientific Conference.
"Questo è uno studio unico perchè l'associazione tra la carenza di vitamina D e le malattie cardiovascolari non è stata consolidata", spiega Brent Muhlestein, direttore della ricerca cardiovascolare dell'Institute Intermountain Medical Center e uno degli autori dello studio.
"Le sue conclusioni potrebbero prevenire le malattie e fornire un trattamento per aiutano a salvare vite umane". E' già stato dimostrato in passato che la vitamina D è coinvolta nella regolazione del corpo di calcio, nel rafforzamento delle ossa, e, di conseguenza, la sua carenza è associata a disturbi muscolo-scheletrici. Recentemente si è invece dimostrato la associazione tra la vitamina D e la regolazione di molte altre funzioni corporee tra cui la pressione arteriosa, il controllo del glucosio e delle infiammazioni, tutti importanti fattori di rischio legati alla malattia di cuore.
Da questi risultati, gli scienziati hanno ipotizzato che la carenza di vitamina D può anche essere collegata alla malattia del cuore stesso. Il dottor Muhlestein sottolinea anche che un gruppo di pazienti dello Utah ha fornito valide indicazioni: "Nello Utah vi è un basso uso di tabacco e alcol, per questo siamo stati in grado di restringere il campo sugli effetti della vitamina D sul sistema cardiovascolare".
I risultati sono stati piuttosto sorprendenti e importanti, continua Heidi May, epidemiologo, altro autore dello studio.
"Siamo giunti alla conclusione che tra i pazienti con 50 anni di età o più anziani, anche una moderata carenza di vitamina D è stata associata con lo sviluppo di malattia coronarica, insufficienza cardiaca, ictus, e morte". "Questo - aggiunge - è importante perchè la carenza di vitamina D è facilmente curabile". Ovviamente lo studio, di sola osservazione, non garantisce la certezza di un collegamento tra vitamina D e le malattie di cuore, però getta le basi per ulteriori studi.
"Riteniamo che i risultati sono abbastanza importanti da giustificare sperimentazioni cliniche - conclude il dottor Muhlestein - per determinare con certezza quello che abbiamo scoperto".

02/11/09

La Stevia: un dolcificante naturale con un potenziale

La pianta Stevia, utilizzata per secoli dagli indigeni del Sud America, ha recentemente conquistato l’onore delle cronache. La Stevia contiene un dolcificante naturale chiamato stevioside (glucoside dello steviolo) che è fino a 300 volte più dolce dello zucchero senza però fornire calorie. Un nuovo ingresso nella vasta gamma dei dolcificanti che potrebbe aiutare a controllare il peso? I consumatori europei dovranno aspettare. Il sapore dolce A ogni neonato piace il sapore dolce, a prescindere dalla dieta che assume la madre durante la gravidanza. I gusti per i sapori dolci si sviluppano per i bambini e gli adulti a seconda delle singole esperienze alimentari e per questo motivo variano considerevolmente da persona a persona. Al giorno d’oggi, sono disponibili sul mercato un gran numero di dolcificanti in grado di dare un sapore dolce, senza però fornire l’energia che deriva dallo zucchero. Tra questo grosso gruppo di composti troviamo dolcificanti che vengono definiti intensi come l’aspartame, l’acesulfame potassico (K), la saccarina e lo steviolo che hanno un sapore centinaia di volte più dolce dello zucchero stesso. Dato che per dolcificare sono necessarie solo piccolissime quantità, il loro apporto energetico è spesso trascurabile se paragonato allo zucchero. A differenza degli altri dolcificanti intensi, lo steviolo ha un ulteriore attrattiva, ossia derivare interamente da una pianta, proprio come lo zucchero. L’origine della Stevia Stevia rebaudiana Bertoni o più comunemente Stevia, deve il suo nome al botanico svizzero Moisès Santiago Bertoni che la descrisse per primo. È un’erba nativa del Centro e del Sud America e appartiene alla stessa famiglia di piante del girasole e della cicoria. Ampiamente coltivata per le sue foglie dolci, la Stevia è stata utilizzata per secoli dai nativi sudamericani come dolcificante tradizionale, aggiunto a tisane e altre bevande. Nelle sue foglie sono presenti due principali composti glicosidici dal sapore dolce: lo stevioside e il rebaudioside A. Questi composti sono più dolci dello zucchero di circa 200-300 volte e quindi è sufficiente solo una piccolissima quantità per raggiungere la dolcezza desiderata. Sono proprio questi glicosidi ad essere stati oggetto di recenti studi sulla sicurezza e di approvazioni. Potenziali benefici per la salute Dato che lo steviolo non contiene calorie significative, proprio come altri dolcificanti intensi, permette ai consumatori di godere del sapore dolce senza però aggiungersi all’ apporto energetico giornaliero. Quando usati nella dieta come sostituti dello zucchero, i dolcificanti ad alta intensità possono essere un aiuto efficace nel controllo del peso corporeo. Persone con rare malattie genetiche come la Fenilchetonuria (PKU) devono controllare il loro apporto di fenilalanina da qualsiasi fonte, incluso l’aspartame; per loro, lo steviolo sarebbe per esempio un ottimo sostituto privo di fenilalanina. La Stevia nel mondo La Stevia è coltivata ancora oggi in America Latina ma, il mercato della produzione è detenuto in questo momento dai paesi asiatici. La Cina è il maggior coltivatore di Stevia al mondo, mentre il Giappone e la Corea rappresentano al momento i maggiori mercati per gli estratti di Stevia. Recentemente, USA, Australia e Nuova Zelanda hanno autorizzato nei loro mercati alcuni preparati di Stevia come ingredienti per cibi e bevande. E in Europa? Nel 1999, la Commissione Europea, ha negato l’autorizzazione per l’utilizzo di piante di Stevia o di sue foglie essiccate come alimento o ingrediente per alimenti, a causa di una sicurezza non sufficientemente provata. Per questo motivo, alimenti e bevande che contengono Stevia o estratti di Stevia non sono autorizzati nei mercati dell’Unione Europea. Sin da allora sono stati eseguiti molti studi che riguardano la loro sicurezza. Nel 2008, diversi esperti del JECFA (Joint FAO/WHO Expert Committee on Food Additives) e dell’FDA (American Food and Drug Administration) hanno dichiarato sicuro l’uso dello steviolo puro (≥ 95%) per il consumo umano.4,5 Il JECFA ha definito accettabile un apporto giornaliero di 0-4 mg/kg per peso corporeo che equivale ad una dose giornaliera fino a 240 mg per una donna di 60 kg o fino a 280 mg per un uomo di 70 kg. Entro Marzo 2010, l’EFSA eseguirà una valutazione combinata sulla sicurezza dello steviolo. In caso di opinione favorevole da parte dell’ EFSA, è probabile che la direttiva europea sui dolcificanti venga aggiornata in modo da includere anche lo steviolo. Nel frattempo, gli Stati membri possono autorizzare i dolcificanti alla Stevia sul proprio territorio secondo la legge di transizione esistente. Recentemente, la Francia ha autorizzato per 2 anni l’uso del rebaudioside A al 97% di purezza nei cibi e nelle bevande. Con questa informazione potrebbero apparire nel prossimo futuro in alcuni mercati europei alcuni prodotti addolciti con i glicosidi della Stevia.